Professione: “coach esonerato”. Nel football universitario Usa farsi cacciare è ormai un lavoro ben pagato
"A metà stagione sono già dieci i coach esonerati, con oltre 160 milioni di dollari in stipendi pagati per arrivare alla pensione in pantofole", racconta il Guardian

Mast Miami (Florida,USA) 07/02/2010 - Super Bowl 2010 / Indianapolis Colts-New Orleans Saints / foto UPI/Masterphoto/Image Sport nella foto: Pierre Thomas ONLY ITALY
“In un momento in cui milioni di persone rischiano di soffrire la fame e di perdere i benefici dell’assicurazione sanitaria, gli americani in difficoltà possono almeno consolarsi sapendo che gli allenatori di football universitario americani se la passano benissimo”. Anzi, di più – spiega il Guardian – ormai quella di coach esonerato a peso d’oro è un lavoro, “un’industria in piena espansione”.
Domenica scorsa la LSU, l’Università della Louisiana ha sollevato Kelly dall’incarico di allenatore dopo che i suoi Tigers hanno subito una sonora sconfitta casalinga contro la Texas A&M, che li ha fatti uscire dalla classifica delle 25 migliori squadre di football universitario. Kelly era al quarto anno di un contratto decennale del valore di circa 100 milioni di dollari. Il suo contratto prevede che la scuola si assuma il 90% del saldo in caso di licenziamento per giusta causa, circa 54 milioni di dollari.
La LSU continuerà a versare 800.000 dollari al mese a Kelly fino al 2031, mentre l’allenatore, che ha compiuto 64 anni sabato, si avvia comodamente verso la pensione. “È un bel lavoro se si riesce a trovarlo, soprattutto con questa situazione economica”, commenta il Guardian. Anche perché non è affatto un caso isolato.
“Nel mondo capovolto degli sport universitari americani, l’allenatore di football licenziato è il re. Due settimane prima del licenziamento di Kelly, la Penn State ha licenziato James Franklin, e gli ha dato 49 milioni di dollari per andarsene. La settimana successiva la Florida ha reciso i legami con Billy Napier, il primo allenatore a tempo pieno dei Gators in 76 anni a concludere il suo mandato con un record negativo: gli sta pagando 21 milioni di dollari, e metà di tale importo è dovuto il 19 novembre”.
“La stagione di football universitario è appena a metà, e già 10 allenatori sono stati esonerato, con scuole che devono 169 milioni di dollari in buyout, di cui sei nelle conferenze d’élite Power 4. Questi numeri non includono Troy Taylor di Stanford (licenziato senza giusta causa e in grado di mantenere riservati i termini del suo buyout grazie al fatto che l’università è un’istituzione privata) o morti viventi come Luke Fickell del Wisconsin o Mike Norvell della Florida State, che potrebbero ritrovarsi senza lavoro entro il Giorno del Ringraziamento”.
“Un tempo, non c’era scenario peggiore che dover licenziare un allenatore universitario. Era la difficile decisione da prendere per invertire la tendenza o ripartire dallo scandalo. Gli allenatori facevano le valigie e se ne andavano, e anche gli amministratori rischiavano di perdere il lavoro per una cattiva assunzione. Il rituale dell’umiliazione era totalizzante e il tanfo persisteva. Tuttavia, negli ultimi anni, mentre lo sport universitario si è evoluto da un baluardo di dilettantismo gestito da un cartello a un mercato più libero che favorisce i giocatori di punta, una mentalità da private equity ha preso piede tra i benefattori sportivi che alimentano programmi di successo”.
“Le squadre di football universitario amano considerarsi come la porta d’ingresso delle loro istituzioni accademiche. Ma ultimamente assomiglia più alla sala da ballo dell’ala est proposta dalla Casa Bianca: un’aggiunta mostruosa che minaccia di oscurare tutto il resto. Con l’americano medio che fa già fatica ad arrivare a fine mese, figuriamoci a sborsare per i biglietti del football universitario, l’idea di pagare milioni di dollari a un allenatore per farlo stare a casa è tanto sconcertante quanto aspettarsi che la LSU faccia il pieno di successi con l’allenatore ad interim Frank Wilson”.










