Marco Rossi: «L’Ungheria mi ha salvato la vita, in Italia mi hanno chiesto due volte soldi per allenare»

Alla Gazzetta: «Non ho mai saputo vendermi. Nel 1993, la Samp prese Platt, Gullit, Evani e me, il più scarso di tutti, ma non su Fifa 97».

Marco Rossi

Db Cesena 07/06/2022 - Uefa Nations League / Italia-Ungheria / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Marco Rossi

Il ct dell’Ungheria Marco Rossi ha raccontato alla Gazzetta dello Sport di quanto sia difficile affermarsi come allenatori in Italia e di come sia arrivato in Ungheria.

Rossi: «L’Ungheria mi ha salvato la vita, non ho mai ricevuto offerte dall’Italia»

Rossi, in che senso l’Ungheria l’ha salvata?

«Mi ha dato la possibilità di lavorare, l’Italia no. Magari anche per responsabilità mia: non ho mai saputo vendermi. Con la Cavese avevo vissuto una stagione assurda, i tifosi fecero pressioni sul presidente per cacciarmi. Da lì ho passato un anno e mezzo da incubo».

Le chiedevano soldi per allenare. Quante volte è successo?

«Una volta per guidare una squadra di Serie C toscana, un’altra in Basilicata».

E lei cosa rispose?

«Che non faccio l’allenatore per hobby. Da calciatore non ho mai guadagnato cifre folli. Alla Samp giravo con una Lancia. Non ho sperperato i soldi, ma da gennaio 2011 a giugno 2012, è stata dura. Ho vissuto un momento di difficoltà intima dove ho pensato di smettere per fare il commercialista. Mio fratello aveva uno studio in Veneto, avrei dovuto frequentare un corso a Torino, vivere con mia madre e iniziare una nuova vita a quasi cinquant’anni».

Il viaggio in Ungheria come nacque?

«Grazie a un amico. Lui ha tre locali, pensai di investire e sbarcare il lunario. Avevo venduto la mia casa a Brescia, ma il calcio mi mancava. All’inizio guadagnavo anche pochino. Nel 2016-17, l’anno in cui vinsi il campionato con l’Honved Budapest, ero l’allenatore meno pagato del campionato. L’Ungheria mi ha restituito la dignità. Oggi mi sento quasi ungherese».

E con la lingua come va?

«È dura. So dire alcune frasi, ma coi giocatori parlo in inglese e in spagnolo. Ho giocato al Club America, in Messico. L’allenatore era Marcelo Bielsa. Il suo ufficio era pieno di videocassette, appunti, foglietti. Lui se ne stava tutto il giorno lì a studiare».

Il compagno migliore avuto da calciatore?

«Tanti, ma citerei Mancini. Quell’anno [1993, ndr.] la Samp prese Platt, Gullit, Evani e me, il più scarso di tutti. Scherzi a parte: Roberto mi veniva a prendere in hotel per farmi vedere la città».

Ma come mai su Fifa 97 era il calciatore più forte del gioco?

«Non l’ho mai capito, forse un bug. Io poi giocavo sempre a Super Mario Bros».

I due Europei sono un orgoglio?

«Un miracolo, semmai. Avrò fatto debuttare dozzine di giocatori. Lo scouting che facciamo è immenso. Tutti conoscono Szoboszlai e Kerkez, ma il vero successo è riuscire a valorizzare Varga, che giocava in quarta serie e lavorava in fabbrica».

Ha mai ricevuto offerte dall’Italia?

«Mai. Ma ho rifiutato Premier e Bundesliga».

Che rapporto ha con Viktor Orban?

«Ottimo. Ogni tanto ci incontriamo, è molto tifoso. A volte mi ha scritto per sapere quale fosse la formazione o quali giocatori avrei convocato. Ma ho massima libertà in tutto».

Lei è stato criticato per aver scelto di allenare in Ungheria…

«Dopo l’ultimo Europeo ho ricevuto insulti sui social. Hanno minacciato me e la mia famiglia con critiche di ogni tipo. Ma a me non importa. Io sono grato all’Ungheria perché mi ha salvato la vita. E a Budapest vivo bene: abito in centro, c’è sicurezza. In altre città come Londra, Parigi o Milano quando cala la notte c’è da scappare».

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