Dembelé: «Il mio è il Pallone d’oro del popolo, come fu per Benzema. Gli infortuni a Barcellona mi hanno aiutato a conoscermi»

A France Football: «I primi a crederci sono stati il mio entourage e il mio migliore amico, io li lasciavo parlare. Ci saranno sempre gli scettici su di me».

Parigi (Francia) 22/09/2025 - pallone d’Oro 2025 / foto Imago/Image Sport nella foto: Ousmane Dembele’ ONLY ITALY

Ousmane Dembelé, dopo aver vinto il Pallone d’oro pochi giorni fa, ha rilasciato un’intervista a France Football.

Dembelé: «Gli infortuni a Barcellona mi hanno aiutato a conoscere meglio il mio corpo»

Poiché questo Pallone d’Oro è inaspettato – prima candidatura, incoronazione immediata – e arriva dopo un’enorme seconda metà di stagione, potremmo anche vederlo come la tua più grande accelerazione palla al piede, seguita da una svolta improvvisa?

«E’ così… Quando vinci praticamente tutti i trofei e hai buone statistiche individuali, penso che tu sia tra i primi cinque giocatori al mondo. Non ho intenzione di dire che è stato inaspettato perché all’inizio di ogni stagione, il mio entourage mi dice che posso essere nella lista del Pallone d’oro…»

Qual è stato il primo messaggio di congratulazioni che hai ricevuto?

«Messi. Anche Xavi, Luis Suarez, molti del Barça. Erano felici. Non avevo i miei compagni di squadra del Psg con me, ma mi hanno fatto un video».

Chi avrebbe potuto dire un anno fa, Ousmane Dembelé Pallone d’oro 2025?

Dembelé: «Moussa Sissoko (il suo agente), Moustapha Diatta (il suo migliore amico). Io? No, li lasciavo parlare».

Anche tu lo hai sognato?

«Sì, da piccolino sì. Dopo, mentre andavo avanti, non ci pensavo… Non era un’ossessione».

L’emozione che ti ha colto sul palco, al teatro Châtelet, era legata alla sofferenza passata, ai dubbi?

«No. A Barcellona ho avuto molti infortuni, più passavano le stagioni e più mi sono infortunato… Nel 2019-2020, ho giocato solo cinque partite. Ma non avevo dubbi. Ero sicuro che sarei tornato e che tutto sarebbe andato bene. Fa parte della vita, tutto non può essere rosa e fiori. Non è stato facile, ho imparato molto. All’età di 28 anni, conosco il mio corpo, conosco me stesso a memoria. La sofferenza era principalmente fisica. Ma non ho dubitato del mio calcio. Non ho rimpianti, dall’inizio della mia carriera fino ad oggi.»

Cosa hai visto negli occhi di tua madre?

«Orgoglio. Tutta la mia famiglia era felice. Quelli che c’erano, quelli che non c’erano. Solo gioia. E’ anche suo quel Pallone d’oro. Mia madre mi ha cresciuto da sola. Questo è anche il Pallone d’oro del popolo, come fu per Benzema».

Essere una stella del calcio… cosa ne pensi?

Dembelé: «Non mi interessa. Voglio rimanere lo stesso di sempre. Per me, non significa niente essere “il miglior calciatore del mondo”. Può cambiare ogni cosa in tutti i fine settimana. Se non farò bene, diranno che faccio schifo. Il weekend dopo, sei il migliore del mondo.»

Sei diventato improvvisamente un goleador?

«Sì, potrei segnare molto di più. A Rennes, ho iniziato da seconda punta. Anche a Dortmund, ero più avanti ed è stato molto più facile. Delle mie sette stagioni al Barcellona, sono stato schierato da esterno».

Che lavoro hai fatto per adattarti al gioco di Luis Enrique?

«Ho lavorato con i compagni, e con l’allenatore che mi dà anche qualche consiglio. Cerco di andare negli spazi liberi, cerco di posizionarmi sempre dietro al difensore, è una posizione molto tattica. Ho giocato a Barcellona con Lionel Messi che era falso 9. Era necessario vedere come si muoveva, come veniva dimenticato da tutti. Camminava ma sapeva benissimo che la palla gli sarebbe arrivata tra i piedi da Busquets. Ho visto tutto questo per sette anni. Oggi sto cercando di farlo». 

Il giocatore che sei diventato oggi, è una trasformazione o una mutazione che hai subito?

«Mutazione.»

Dopo la finale contro l’Inter, c’è stato un pizzico di delusione per non aver segnato un gol?

«No. Con l’Arsenal all’Emirates (semifinale d’andata), è stata forse la mia migliore partita della stagione».

Pensi che ci siano ancora scettici su di te oggi?

«Ci saranno sempre. Se fai due, tre stagioni buone e una no, dimenticheranno quelle buone». 

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