Morata: «Vale la pena venire in nazionale per farsi insultare e fischiare? No»
A Movistar+:«Ogni volta che torno in Spagna le persone ridono di me, mi insultano. Se ami qualcosa o qualcuno, lo fai anche quando è giù»

Mg Milano 30/11/2024 - campionato di calcio serie A / Milan-Empoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Alvaro Morata
Alvaro Morata, noto ex attaccante di Juve e Milan e della nazionale spagnola, è intervenuto ai microfoni di Movistar Plus in occasione del documentario “Morata: no sabéis quién soy”(letteralmente Morata, non sapete chi sono) dove ha parlato apertamente dei suoi problemi di salute mentale (depressione ed attacchi di panico di cui soffriva all’Atletico Madrid ndr), del rapporto difficile con parte del tifo spagnolo, del suo percorso di guarigione e del senso di appartenenza alla Roja. Ecco di seguito le sue dichiarazioni.
Morata: «Vale la pena andare in nazionale per farsi insultare? No.»
«Vale la pena che ogni volta che vado in Spagna con la mia famiglia abbia episodi spiacevoli e che la gente mi prenda in giro, mi insulti e rida di me? Non so se ne valga la pena. Vale la pena continuare a venire in nazionale solo per essere insultati e fischiati negli stadi dove giochi con la maglia della nazionale? Non ne vale la pena. Pensavo che le persone sarebbero state più rispettose. Se ami qualcuno, e so che è calcio, lo ami anche quando è giù. È possibile che non tornerò a settembre» (in riferimento alla sua presenza con la nazionale dopo la sconfitta contro il Portogallo nella Nations League ndr).
Sulle difficoltà di salute mentale dell’anno scorso
«Avevo paura di tutto (come aveva già raccontato qui ndr). Avevo così tanti pensieri orribili e autodistruttivi. Ho persino pensato di fingere di essere ferito per non dover essere lì. La mente ti suggerisce ogni genere di cose per farti evitare ciò che ti fa soffrire. Era come se fossi in una stanza completamente buia, con tutti che mi fissavano. La mia testa mi inviava costantemente segnali, messaggi e voci che mi dicevano cose orribili. Ero nel momento più buio in cui una persona possa trovarsi, e lui (Luis de la Fuente) si è fidato di me. A livello personale, è stato il miglior allenatore che abbia mai avuto, perché ha saputo non solo capire il mio problema, ma anche condividerlo e viverlo come se fosse il suo».