Tacconi: «La notte, quando non dormo, penso ancora ai morti dell’Heysel»

L'intervista della Gazzetta a 40 anni dalla strage: "Arrivarono nello spogliatoio i tifosi feriti e insanguinati. Il nostro medico prestò soccorso a tutti"

Tacconi Heysel

Db Torino 13/05/2014 - finale Europa League / Siviglia-Benfica / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Stefano Tacconi

Tacconi: «La notte, quando non dormo, penso ancora ai morti dell’Heysel»

Penso spesso all’Heysel, soprattutto di notte quando fatico a prendere sonno. E ricordo ancora tutto, come fosse ieri”. Invece la strage si consumò ormai 40 anni fa. 29 maggio 1985, finale di Coppa Campioni, Juve-Liverpool 1-0, 39 morti. Per Stefano Tacconi è un trauma irrisolto, che racconta intervistato dalla Gazzetta: “È una sofferenza che tutti noi ci portiamo dietro da 40 anni e non ci abbandonerà mai”.

“Mi torna in mente la paura, anche in campo. Soprattutto quando mi trovai a difendere la porta vicino al settore Z, completamente vuoto. Ma i momenti peggiori sono stati quelli prima della gara. A un certo punto arrivarono nello spogliatoio diversi tifosi: erano feriti e insanguinati. Il nostro medico prestò soccorso a tutti. Noi giocatori eravamo già sotto la doccia, spaventati e tristi. In quel momento sapevamo di una persona finita schiacciata nella calca, mentre dei 39 morti ci hanno detto soltanto dopo la partita, intorno a mezzanotte. In ogni caso nessuno pensava più al calcio e alla finale di Coppa Campioni. Ma poi ci raggiunse un generale delle forze dell’ordine belga, che di fatto ci obbligò a scendere in campo per questioni di ordine pubblico. Così ci ricambiammo e uscimmo sul prato in un clima surreale. Trapattoni era traumatizzato dall’accaduto, come il figlio di Agnelli e tutti noi”.

La Juve vinse con un rigore di Platini “e le mie parate. Penso sia stata la miglior prestazione della carriera, ma non se ne può parlare perché la serata purtroppo è stata drammatica. Siamo rientrati immediatamente negli spogliatoi, senza coppa. L’abbiamo sollevata soltanto in un secondo momento. E solamente perché lo stesso generale ci disse che dovevamo tornare in campo e mostrare il trofeo ai tifosi ancora presenti sugli spalti. Sempre per una questione di ordine pubblico”.

Correlate