Ormai il calcio è il trionfo del tribalismo, il tifoso invincibile è l’unica misura di tutto (Guardian)
Il giornale inglese contro i giornalisti-tifosi eroi del calcio populista: "Nella nuova logica del mercato culturale, il pluralismo di opinione non è più un punto di forza ma un difetto"

Db Manchester (Inghilterra) 18/09/2024 - Champions League / Manchester City-Inter / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Rio Ferdinand
Al minuto 118 di di Manchester United-Lione, giovedì scorso, la telecronaca di Robbie Savage e Rio Ferdinand su Tnt Sports è diventata, per Jonathan Liew, un caso di scuola: ormai la faziosità ostentata è la misura con cui guardiamo il mondo, e il calcio è diventato il terreno di coltura del populismo imperante. Ovviamente l’editorialista del Guardian lo dice molto meglio di così.
Scrive Liew: “il trionfo finale del tribalismo, una misura di come l’identità del tifoso abbia sostanzialmente consumato e divorato il nostro modo di parlare e pensare al calcio. Avevamo già i tifosi-esperti. Avevamo già i media dei tifosi. Avevamo già giornalisti e commentatori con evidenti pregiudizi. Avevamo già un’economia dell’attenzione costruita attorno a uomini che si emozionavano su uno schermo, prodigiose immagini di reazione, arti ovunque. Ma questo è stato il momento in cui tutti questi mondi sono sembrati scontrarsi contemporaneamente”.
“Tifiamo tutti una squadra – continua – A tutti piace il calcio. A tutti piace perdere la testa per il calcio e guardare gli altri fare lo stesso. L’unica lamentela qui è la convinzione sempre più diffusa che questo sia l’unico modo valido di apprezzare il gioco, l’unico modo in cui siamo capaci di nutrircene. Che il tribalismo nudo, edonistico e sfacciato sia l’unico vero modo di godersi il calcio, e che bucare questa bolla di purezza e credulità significhi in qualche modo prosciugare la gioia e la vitalità del gioco”.
Per Liew “questo è un virus che ci sta cucinando il cervello in tanti modi diversi. È il motivo per cui praticamente ogni post su un forum, un thread di commenti su un giornale o su Reddit deve essere preceduto da “Non sono un tifoso del Leeds, ma…” o “Sono un tifoso dei Goon, ma…” – come se il fandom fosse una sorta di passaporto da presentare come prova di genuinità prima di entrare nel dibattito. Come se per definizione fossimo prima tifosi e poi persone”.
“Ecco perché gli opinionisti, i commentatori e i giornalisti più noti un tempo erano imparziali, poi tacitamente parziali, e ora sono tenuti a mostrare apertamente la loro parzialità. Dieci anni fa, Jamie Carragher e Gary Neville erano gli analisti più incisivi e perspicaci della televisione. Ora la loro produzione – in gran parte filmata con i loro telefoni – sembra consistere in gran parte in sghignazzate sui social media, in provocazioni a vicenda davanti alla telecamera. Perché oggigiorno il fandom non è più semplicemente un attributo. È un contratto con il pubblico, qualcosa che deve essere continuamente dimostrato e verificato. In molti casi, il confine tra opinionista e tifoso è diventato quasi indistinguibile”.
“Ecco perché i media calcistici, dai giornali locali ai canali YouTube dei tifosi, fino all’Athletic, devono essere trasmessi attraverso il filtro del club, idealmente il più roseo e inequivocabile possibile, perché l’unica prospettiva che conta è la tua. Ecco perché tutti gli arbitri devono avere una fedeltà, e quelli che non ce l’hanno devono averne una attribuita in base alla loro città di nascita, perché è impossibile svolgere un lavoro in modo imparziale ed efficace”.
“Mentre negli anni ’80 dichiararsi tifoso di calcio significava identificarsi come un paria sociale, oggi dichiararsi tifoso di calcio è una sorta di nobilitazione, uno scudo di invincibilità. Conferisce sacralità alle proprie opinioni, rende le proprie canzoni immediatamente divertenti, conferisce alla propria occupazione massiccia di spazi pubblici una sorta di pia virtù. In qualche modo, attraverso un attento processo di elisione e rebranding, il tifoso della Premier League che stringe il suo biglietto da 125 sterline per la finale di coppa, arrampicato su un lampione con la sua replica di maglia da 80 sterline che pubblicizza un conglomerato globale di gioco d’azzardo da miliardi di sterline, è stato rimodellato come l’archetipo dell’uomo che lavora. Guai a chi occupa i posti liberi e osa contestare questo stato di cose”.
“Nessun allenatore o giocatore deve mai criticare i tifosi. Nessun giornalista deve mai offenderli, nemmeno per scherzo. Nella nuova logica del mercato culturale, il pluralismo di opinione non è più un punto di forza ma un difetto, non più un segno distintivo di maturità e sfumatura ma un bug del sistema che deve essere eliminato al più presto”.
“E ancora: qui il calcio piace a tutti. Ma è ancora possibile essere indifferenti alle squadre rivali invece di odiarle in modo performativo? Ci è permesso denunciare cose come lo sportswashing e il denaro sporco, o stiamo semplicemente spegnendo il passaparola? Siamo destinati a puntare tutto sul complesso industriale arbitrale-complottista? In breve: esiste ancora un modo di discutere o godersi il calcio al di là dell’ottica più tribale e deliberatamente limitata? O siamo semplicemente accusati di non capirlo?”.