A “Cronache di spogliatoio”: «Non mi piace il possesso palla sterile, io chiedo ai miei giocatori di verticalizzare appena ne abbiamo la possibilità»

Calzona, allenatore del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista a Cronache di spogliatoio, che è possibile vedere su youtube.
Essere già conosciuto da gran parte dello spogliatoio è stato un aiuto?
«Può aiutare senza dubbio, ma per ottenere rispetto devi dare rispetto. Ho iniziato dal primo giorno a dare rispetto e loro hanno risposto allo stesso modo dal primo allenamento».
Sul possesso palla
Calzona: «Lo reputo un elemento chiave perché avere la palla vuol dire che ci sono meno possibilità di prendere gol. Non mi piace il possesso palla sterile, io chiedo ai miei giocatori di verticalizzare appena ne abbiamo la possibilità, abbiamo le qualità per farlo. Gli ho detto che qualunque errore è colpa mia, di perseverare che la strada è quella giusta».
Quando il Napoli ti ha chiamato, hai avuto esitazione?
«La telefonata è durata quaranta minuti, ascoltavo, ma pensavo e non ho mai avuto il dubbio di non accettare. La comfort zone non fa per me. Sono andato in Slovacchia, un Paese che non conoscevo. Mi piacciono le sfide. Poi Napoli fa parte della mia vita, provare a dare una mano è una grande cosa».
Chi è la prima persona a cui lo hai detto?
«Mio fratello, stavo camminando con lui. Ai miei genitori non ho detto niente fino alla sera, hanno una certa età e non volevo che si agitassero. Mio padre guarda il Napoli indipendentemente dalla mia presenza, ormai dal lontano 2014».
Come hai trovato i giocatori rispetto a come li conoscevi?
Calzona: «A livello mentale diciamo che non era l’ideale, ma a me non interessa quello che è successo prima. Abbiamo il Maradona sempre pieno e noi siamo in debito con loro (ndr i tifosi). Ho detto che dobbiamo fare di tutto per fare un grande finale di stagione e dare delle soddisfazioni a questa città».
Cambiare ruolo, ti ha fatto cambiare anche il modo di porti?
«Non mi piace passare per il generale della situazione, nemmeno ora che sono prima allenatore. Cerco di instaurare un rapporto di onestà con i calciatori, non voglio che percepiscano che nella stanza c’è un generale che li comanda. Devo portarli a capire che è importante pure per loro. Devo portarli a capire che se facciamo tutti bene, raggiungiamo l’obiettivo c’è bisogno di stare tutti insieme. Quando c’è bisogno di staccare, lo concedo perché secondo me è importante».
Kvaratskhelia.
«Sinatti mi aveva fatto un po’ il quadro di questo ragazzo. Ha una disponibilità unica, è leggermente introverso ma non più di tanto. L’ho visto scherzare coi compagni. È il primo a fare autocritica, è cresciuto tantissimo anche dal punto di vista tattico. Le prime prestazione sotto la mia gestione non sono state all’altezza ma è anche responsabilità mia, gli ho chiesto di fare cose nuove velocemente, tipo curare la fase difensiva preventiva e non di rincorsa in modo da fargli risparmiare energie. Sono concetti diversi. Si è talmente concentrato sulle mie richieste che ha perso di vista le sue qualità principali».
Le tue emozioni, la prima volta al Maradona contro il Barcellona.
Calzona: «Venivo dalla Calabria con la macchina a noleggio e sono entrato in tangenziale abbassando il finestrino e lanciando un urlo perché avevo tanta adrenalina. Ero felice di essere di nuovo al Napoli. Riesco ad essere abbastanza misurato quando entro allo stadio, ma stavolta non è stato come sempre perché ho una grande responsabilità. Rappresento una città e il popolo napoletano che non ha eguali».
La Slovacchia.
«La fortuna è stata che abbiamo uno staff molto ampio, i calciatori riusciamo a seguirli, abbiamo 4-5 dubbi per le convocazioni, ci stiamo concentrando sui calciatori probabili».
Il rapporto con Hamsik.
«Un rapporto di stima reciproca, Marek è un introverso, parla poco ma comunica molto con la postura. Non mi piacciono i giocatori che parlano tanto, lui è stato un leader nel silenzio. L’ho sempre stimato. Lui ha sempre stimato me. La Slovacchia veniva da un periodo molto difficile, ha ottimi rapporti col presidente della federazione, ero a un distributore a fare benzina. Gli ho detto: fammici pensare, ti richiamo stasera, l’ho richiamato dopo cinque minuti».
Quanto ti ha aiutato avere gli “italiani” Skriniar e Lobotka in Nazionale.
«Skriniar e Lobotka mi hanno tantissimo, non tanto per la lingua. Ma perché si sono messi a disposizione, hanno dato l’esempio. Nella Nazionale slovacca ci sono calciatori di grande spessore umano. È un Paese che consiglio agli sportivi ma anche a quelli cui non piace lo sport. Lì mi manca il mare ma io vivo ad Arezzo e anche lì non c’è il mare. A me piace la campagna, curare gli olivi, il giardino. Non ho animali perché ho una bambina piccola che ha paura e poi non c’è nessuno a casa, non è giusto trascurare gli animali».
Sarri.
«L‘ho conosciuto tramite un amico in comune. Lui faceva il promotore finanziario, avevo due spiccioli da parte e li ho dati a lui per la gestione, ma finivamo a parlare sempre di calcio e mai di interessi, mai di business. Io ero al Tegoleto, squadra di Eccellenza, avevano licenziato l’allenatore, e mi hanno chiesto di fare il player-manager. Io però volevo solo giocare e ho suggerito Sarri per la panchina. Abbiamo fatto un’ottima stagione e da lì è nato tutto. E poi qualche anno dopo mi ha chiesto di seguirlo e da lì è nato tutto il resto».
T i fa impressione essere allenatore del Napoli?
«Ci pensa mia figlia a ricordarmi tutto questo. Mi chiede: “papà, anche se siamo lontani almeno riesco a vederti perché sei tutti i giorni in tv e sui giornali perché sei allenatore del Napoli. Mia figlia me lo ricorda e mi fa capire la grandezza di esere l’allenatore di questa città».
Dove vivi?
«Vivo in albergo, a Pozzuoli, per comodità, è più vicino al centro sportivo. Ho tanti amici tra i ristoratori, sono abitudinario, faccio le solite cose».
Ora decidi tu la tua carriera.
«Ho fatto quindici anni l’assistente e quel lavoro mi gratificava tanto. Se sono arrivato ora, è perché il destino ha voluto così. Ma non rimpiango di non esserci arrivato prima perché quello che facevo prima mi dava tanta soddisfazione».
Torino e Barcellona.
«Andare avanti in Champions è importante per mille motivi. Chi fa il mio mestiere, sogna di esserci. Andremo lì a giocarcela a viso aperto: è nella nostra mentalità, nella mia mentalità. Dobbiamo fare di tutto per raggiungere l’obiettivo, dobbiamo uscire dal campo senza avere rimpianti».
Hai C.C. sulla tuta.
«Ho sempre F.C. sulla tuta ma c’è un mio collaboratore che si chiama Francesco Cacciapuoti e allora i magazzinieri hanno detto C.C. Ciccio Calzona, mi chiamano tutti Ciccio, per me va bene, non è un problema».