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Io, io, io. De Laurentiis in versione Luigi XIV: «Naples c’est moi»

A un certo punto, cade la maschera: «Io sono la società». Luigi XIV regnò per 72 anni e 110 giorni.

Io, io, io. De Laurentiis in versione Luigi XIV: «Naples c’est moi»
View of a bronze of French king Louis XIV by Italian sculptor Gian Lorenzo Bernini, at the Getty Museum in Los Angeles, on September 11, 2008. Celebrated sculptures from the Bargello, Palazzo Barberini, Galleria Borghese and other Italian collections are on view for the first time in the US until October 26. AFP PHOTO / GABRIEL BOUYS (Photo by GABRIEL BOUYS / AFP)

La conferenza fiume del presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, è stato un tuffo nei libri di storia. Più parlava, più le sembianze di De Laurentiis mutavano.

«Qui però siamo in una famiglia, se dopo 19 anni non dovessi considerarlo una famiglia, dopo aver vinto uno scudetto, fa male al fegato e al cervello».

La prima frase pronunciata in conferenza stampa presenta il presidente come un padre di famiglia, amorevole e affettuoso. De Laurentiis non farebbe mai del male al Napoli, ovviamente. Se errori ci sono stati, sono stati per troppo amore.

Sulla testa del presidente inizia a materializzarsi una parrucca bianca, folta. Enormi boccoli bianchi cadono sulle spalle e sulla sua schiena.

«Io sono sempre stato l’alfiere di questa città».

Ecco, l’accento adesso è cambiato. Le “r” sono piuttosto marcate. Soprattutto quando afferma di essere l’alfiere di Napoli. È grazie a lui se il Napoli l’anno scorso è stato il centro del calcio internazionale. Le interviste al New Tork Times hanno proiettato il Napoli e Napoli in una dimensione mondiale.

Ma tornando a questioni più calcistiche, quelle che interessano i giornalisti che non capiscono un tubo, per dirla in maniera elegante. «Io non dovevo dirgli della pec, nel momento in cui firmi il contratto ti devo pure avvisare?». Al solo sentire il nome di Spalletti, le gote di De Laurentiis si fanno rosse. No, non è trucco, forse. È ardore per una colpa che difficilmente si perdonerà. Il mignolo si alza, spunta anche un neo sul volto.

In sala stampa, davanti ai giornalisti, tutt’un tratto non c’è più Aurelio, ma Luigi XIV. La conferenza continua con tanti “io”. «Io faccio l’imprenditore, non il prenditore». «Io appartengo al mondo del fare, non del far fare agli altri». «I giocatori più importanti li ho portati e trattati io». «Se non ci fossi io, lo stadio a Napoli non si farebbe, se non ci fossi io il centro sportivo uguale a quello del City non si farebbe, ci sono i soldi miei qua». «Io ho cercato di dare a Garcia opportunità e possibilità parlandoci e quando mi ha ascoltato ci sono state delle vittorie, come con il Lecce 4-0». «Vi ho portato diverse volte in Europa, anche sopra la Juventus, senza imbrogliare».

A un certo punto, cade la maschera: «Io sono la società». Ma quello è Luigi XIV, non De Laurentiis.

Per amor di verità, il presidente ha continuato la frase dicendo: «Mi devo prendere oneri e onori». Il senso però non cambia. Il presidente del Napoli, parafrasando un rapper tanto caro ai giovani, “governa da vero monarca assoluto, col pugno di ferro e il guanto di velluto”.

Un’ora di conferenza stampa che poteva tranquillamente ridursi a poche semplici parole. «Naples c’est moi». Piccola nota a margine. Luigi XIV regnò per 72 anni e 110 giorni.

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