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Sogno Mazzarri che attacca gli arbitri in vernacoliere, se non vai in tv stai dicendo che non sei in grado

Nel 2023 il silenzio stampa è una roba triste. O fai il superiore come Guardiola, o il mattatore come Mourinho. Nel mezzo c’è rimasta solo la provincia

Sogno Mazzarri che attacca gli arbitri in vernacoliere, se non vai in tv stai dicendo che non sei in grado
Napoli's Italian coach Walter Mazzarri holds a press conference at the Santiago Bernabeu stadium in Madrid on November 28, 2023 on the eve of the UEFA Champions League first round group C football match between Real Madrid CF and SSC Naples. (Photo by JAVIER SORIANO / AFP)

Mazzarri, non avesse passato la domenica sera a sfumare come la lava che incontra l’oceano, avrebbe potuto lasciarsi interrogare sul fallo di Lautaro, o sul rigore non fischiato a Osimhen. Per poi rispondere, faccia di tolla, in vernacoliere. “Scusate, il mio italiano non è all’altezza”. Che ganzo, sarebbe stato. Certo, per guizzi così, devi avere la presenza di spirito e il mestiere di Mourinho, il Dario Fo che il calcio non si merita.

Oppure avrebbe potuto, Mazzarri, indossare quegli abitini striminziti (con le camicie slim immacolate, i colletti Tarantiniani, il cravattino finto-sciolto) che sono la divisa dell’allenatore degli anni 20, e imporsi una superiorità acquisita: “No, non abbiamo perso 3-0 per colpa dell’arbitro”. Certo, per sopportare il carico di questa comunicazione glaciale devi avere l’armatura di calcestruzzo di Guardiola. Che s’è visto richiamare l’attaccante in volata verso il 4-3 al 95′ da un arbitro che prima l’aveva lasciato andare per il vantaggio, non si sa perché. Guardiola va, risponde, persino sfotte Arteta. Quanta lucidità.

Guardiola non s’è sognato di mandare davanti alle telecamere Txiki Begiristain, come il povero – nonché cortese ed educato – Meluso. Perché fare l’allenatore oggigiorno è un lavoro d’immagine, come dice Wenger. E’ un profilo in aggiornamento costante: vale per la tattica, con i video di Spalletti consumati per trarne un bignamino; e vale per il contesto. Se la gente invoca la grinta dell’indicatore patologico d’orologi, va pur ricordato che il Napoli sarebbe (era) la squadra campione d’Italia, quella fresca di re-branding internazionale con gli articoli sul New York Times e la Champions come cortile di casa. Non certo una provinciale, ecco.

Poi: quelli scafati lo sanno che la gente invoca tutto e il contrario di tutto, a folate. E’ basculante, conta solo per condizionamento culturale. Che l’economia del calcio italiano giri attorno alla mistica dell’amore passionale, è una balla che va bene fino a quado ci facciamo i selfie col capoultrà. Il resto, lì fuori, è tutto un fondo che ti presta soldi a tassi usurai e poi si prende la società tagliando le “bandiere”. A Milano, su entrambe le sponde, lo sanno benissimo.

Tradotto in comunicazione for dummies, che messaggio dai se ti neghi alle domande dopo un presunto torto arbitrale? Che non sei in grado. Che non ritieni di poter criticare – anche duramente – gli arbitri o i commentatori, senza scadere nel “penale”. “Eh, se parlo mi danno 10 giornate…”, è un tic ormai scaduto per consunzione. Passato di moda come il melone-e-prosciutto d’antipasto ai ricevimenti. Il piagnisteo degli allenatori che ogni tanto evadono dai propri doveri (sono anta anni che il dovere d’intervista è ricompreso nel pacchetto di qualsiasi club sovvenzionato dai diritti tv) è ben frequentato, ma ormai triste assai. Fa l’effetto mantenitem’, quando nessuno ti impedisce di scatenare tutte le risse che vuoi.

Mourinho, che nel settore è un peso massimo, s’inventa infatti sempre nuovi modi per essere abrasivo. E’ un fantasista, ma quella è classe innata. Mazzarri si fa interprete, non sappiamo se capziosamente o no, del malinconico malcontento popolare. Allo stadio, mentre l’Inter (non) infieriva sulla difesa del Napoli, solo Meret veniva crocifisso quanto l’arbitro Massa, appena una spanna più giù c’era il solito Palazzo con tutto l’armamentario abituale di mitomanie e pluto-complotti.

Una volta tanto sarebbe stato dignitoso affrontare la realtà, il risultato sportivo, senza ritrarsi. Magari con un po’ d’ironia, se proprio uno non conosce il portoghese. Non può essere 2009 per sempre.

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