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Fabregas: «All’Arsenal lavavo le scarpe di Henry e la macchina di Ljungberg»

La Vanguardia è andata a trovarlo a Como dove allena la Primavera: “L’80% di possesso palla non serve a niente se non creo pericoli”

Fabregas: «All’Arsenal lavavo le scarpe di Henry e la macchina di Ljungberg»
Foto dall'account Twitter del Como

Cesc Fabregas, appena arrivato all’Arsenal, puliva le scarpe di Henry, Vieira, Campbell e compagni dopo l’allenamento. Anche si allenava con loro. “Era quello che dovevo fare in quel momento, non mi sono mai lamentato. Ljungberg mi dava pure le chiavi della sua macchina perché la portassi a lavare…”.

Ora Fabregas allena la primavera del Como. Ha detto addio al calcio a Como. L’ha preferito alle ricchissime offerte arabe o da Miami. E racconta a Vanguardia la sua nuova vita in riva al lago, da apprendista allenatore. Da un giorno all’altro, a 36 anni, è passato dal gestire una squadra in campo a farlo da bordo campo. “Volevo che il passaggio da calciatore ad allenatore fosse rapido. Non mi vedevo senza sapere cosa fare una volta finita la mia carriera. Volevo finire di giocare dopo un anno orribile al Monaco, con continui infortuni che mi hanno tenuto fuori da molte partite. Como mi ha offerto tutto quello che cercavo: stare in campagna mentre continuavo a prendere il patentino, un posto tranquillo per la famiglia e un progetto ambizioso a lungo termine con la libertà di mettere in pratica le mie idee”

Di proprietà della società indonesiana Djarum, il Como ha offerto a Fabregas anche di diventare azionista del club. Ha firmato per due anni, ma alla fine del primo ha detto basta. Troppi problemi fisici: “Ho passato un brutto momento. Pensavo più a come avrebbe reagito il mio corpo che a giocare, che è quello che avevo fatto per tutta la vita. Avrei potuto resistere ancora un anno, ma non mi divertivo più. Gli allenamenti in Italia riguardano molto la corsa, non tanto i concetti di calcio, e mi sembravano lunghissimi. Non si adattava alla mia mentalità e mi stavo esaurendo”.

“Diciamo che fare il calciatore non mi manca. Quella sofferenza di alzarmi la mattina, mettere i piedi per terra e chiedermi: ‘Come sto oggi? Posso allenarmi? Posso giocare?’… Alla fine la motivazione era solo il gioco. Mi piace molto la mia professione attuale, mi diverto”.

Anche con i Primavera “devo mantenere la mia filosofia ed essere preparato per quando avrò una prima squadra. Ho instillato nei ragazzi un’idea molto diversa. All’inizio non facevano più di tre passaggi e ora si combinano. L’80% di possesso palla senza creare pericolo non mi serve. Avere tanti allenatori ha ampliato la mia visione del calcio. Non credo in una sola forma di gioco. Puoi vincere in molti modi. In questo senso mi sento un privilegiato. Lo ripete ai miei giocatori. Nel corso della loro carriera incontreranno tecnici di ogni tipo e quelli più disposti ad adattarsi a ciò che chiedono loro guadagneranno per primi la fiducia”.

Ricordo quando Mou fu licenziato dal Chelsea mesi dopo aver vinto campionato e coppa. Il programma era praticamente lo stesso ma i giocatori non erano all’altezza. Mi sentivo come se fosse colpa nostra. Serve pazienza. Guarda l’Arsenal di Arteta negli ultimi anni: ottavo, ottavo, quinto… e guarda i risultati adesso. La scorsa stagione hanno quasi vinto la Premier. A volte ci vuole tempo per portare avanti un progetto”.

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