Alla Stampa: «Spesso la gente sminuisce il ruolo dell’allenatore. Non deve essere protagonista, ma un condottiero silente come Ancelotti e Del Bosque»

La Stampa intervista Alberto Malesani, storico allenatore del Chievo Verona che ha portato il piccolo club in una finale europea. La finale di Coppa Uefa contro il Marsiglia è spesso citata come esempio di un calcio moderno e all’avanguardia. Adesso non ha nemmeno l’azienda di vini, Malesani si gode la vita da pensionato:
«L’azienda l’ho venduta. L’offerta era buona, e garantiva un futuro importante. Mi ricordano perché ho vinto. Se arrivi secondo o terzo, ti dimenticano in fretta. Poi qualche idea credo di averla avuta».
Con il Chievo il risultato più grande della sua carriera da allenatore ma nella vita sono tante le sue soddisfazioni:
«Da imprenditore ho visto il mio vino dentro ristoranti importanti. Prima del calcio avevo creato un ufficio import export alla Canon Italia. Al Chievo c’era una gestione orizzontale, ciascuno metteva a disposizione quello che aveva nel proprio settore».
A quel tempo Malesani conduceva anche una particolarissima campagna abbonamenti:
«All’inizio distribuivo persino i biglietti agli amici, perché nessuno veniva al campo. Ma siamo arrivati a fare sold out per il derby con il Verona, per cui si scomodò anche la Cnn. Quelli sono successi».
Un cenno anche alla sua esperienza in Grecia dove è famosa la sua sfuriata in conferenza stampa:
«Il vero Malesani non è quello lì. In Grecia fra l’altro mi trovai molto bene, la squadra la gestivamo io e il presidente: nessun direttore sportivo, niente procuratori…»
Infine il suo personalissimo parare sul ruolo di allenatore:
«Ammiro tutti gli allenatori, dai dilettanti in su. È un ruolo difficile, la gente spesso lo sminuisce ma l’allenatore è importante. Non deve essere protagonista, ma un condottiero silente. Ancelotti e Del Bosque, hanno vinto tanto e sono silenti. A Carlo manca solo un Mondiale, gli auguro di cuore di vincerlo con il Brasile. Dopo Mancini, altro grande allenatore, meriterebbe la panchina azzurra».