«Luciano, rinnoviamo?», «Aurelio, io non resto». Su La Stampa “l’ultima cena” che ora blocca la Figc
Il matrimonio tra presidente e allenatore finì quel giorno, era già finito. De Laurentiis non può perdonare il rifiuto al tecnico dello scudetto

Db Napoli 07/05/2023 - campionato di calcio serie A / Napoli-Fiorentina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti-Aurelio De Laurentiis
Spalletti in Nazionale è bloccato da De Laurentiis per il rancore nei confronti del tecnico dopo il no al rinnovo. Una questione di orgoglio più che di soldi. Lo scrive anche La Stampa, con Andrea D’Amico, che ricorda la famosa cena della rottura, il 13 maggio scorso, appena nove giorni dopo la matematica certezza dello scudetto conquistato dal Napoli a Udine. L’ultima cena. Una cosa di cui erano consapevoli sia il presidente che l’allenatore.
“La sera del 13 maggio, nove giorni dopo aver conquistato lo scudetto a Udine, Aurelio De Laurentiis e Luciano Spalletti si accomodarono a tavola, in un ristorante del centro di Napoli, entrambi consapevoli che quella sarebbe stata la loro ultima cena. Non avevano più niente da dirsi, probabilmente da darsi, e il rapporto frastagliato, s’era definitivamente frantumato il 20 aprile, quando Spalletti, rientrando a Castel Volturno, nel centro sportivo dove
aveva trasformato il proprio ufficio in monolocale-eremo nel quale preparare l’impresa, aveva ricevuto una busta chiusa. L’aveva spedita il presidente, poche righe per comunicargli che il Napoli aveva esercitato – attraverso una pec – il diritto di opzione per il rinnovo del contratto: «senza una parola, senza niente» per dirla alla Cocciante”.
Fu allora che cominciarono a scorrere i titoli di coda sul loro rapporto. Spalletti aveva già deciso di lasciare il Napoli.
“e quando dopo aver chiesto del pesce e una bottiglia di Franciacorta Adl si lanciò (strategicamente) nella introduzione – «Luciano, allora cominciamo a pensare alla prossima stagione?» – la risposta diretta e sincera fu bruciante però anche scontata, perché ormai le carte erano scoperte: «Aurelio, io non resto». Spalletti si stava separando da De Laurentiis, in quell’istante, non da Napoli, eletta a regina di cuori, una città che lo aveva stregato, che l’aveva rapito, forse lo aveva persino cambiato, addolcendone gli spigoli: si chiudeva un biennio rivoluzionario e però intenso, però indiscutibilmente logorante, senza vere frizioni né rotture, senza scenate né panni sporchi da far volare in piazza, ma nella diversità di due personaggi che scoprivano di essere inconciliabili”.
Spalletti ha detto di aver lasciato il Napoli per troppo amore. In realtà era logorato “da un braccio di ferro possente dell’allenatore per evitare che Adl portasse la squadra in ritiro, da un dibattito senza peli sulla lingua che fece temere una frattura, poi rientrata con il diplomatico intervento di Cristiano Giuntoli“.
“Quella notte, il 13 maggio, Spalletti avrebbe ricomposto il proprio puzzle, ricordava che a Udine, nove giorni prima, aveva atteso invano una telefonata del suo presidente, che stava intanto festeggiando tra la folla al «Maradona», dinnanzi al megaschermo, a Napoli: «Non ho chiamato per lasciar godere il momento ai calciatori». Era così plasticamente chiaro che nel calice di Spalletti, al ristorante, ventidue giorni prima che il Napoli venisse incoronato nel proprio stadio, sarebbero rimaste solo le bollicine e il ricordo eterno di uno scudetto, stampato poi sul braccio sinistro come testimonianza di un amore incontrollabile. Verso Napoli. Un rapporto invece evaporato con De Laurentiis. E che ora torna sul tavolo in nome e per conto della missione Nazionale”.