Sarri: «Calcolavo le ammonizioni per vedere Moser alla Roubaix»
A Eurosport: «Probabilmente ero un buon ciclista e un calciatore mediocre. Nel ciclismo c’è un’attenzione al dettaglio che nel calcio non c’è»

Napoli 18/03/2018 - campionato di calcio serie A / Napoli-Genoa / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Maurizio Sarri
Maurizio Sarri, allenatore della Lazio, ha rilasciato un’intervista a Eurosport.it. Nella lunga chiacchierata con Riccardo Magrini, Sarri parla della sua passione per il ciclismo:
«La mia era una famiglia di ciclisti: babbo, nonno, zii. Era una famiglia in cui si mangiava pane e ciclismo, l’anomalia per me è stata il calcio, non il ciclismo. Probabilmente ero un buon ciclista e un calciatore mediocre».
Magrini gli chiede di più sul suo soprannome ‘Parapei’:
«Era quello di mio nonno. Qui in Toscana ci si conosce tutti per soprannomi e io me lo sono scritto anche davanti a casa. Poi è diventato il soprannome del mio babbo e io ero il ‘Parapeino secco’ perché ero l’ultimo arrivato e perché ero 187 cm e pesavo 69 chili. Ero il secco».
Sullo stile di Sarri:
«Ero più un passista veloce, mi divertiva tantissimo la discesa, ma ancora… Credo che sarei un corridore da classica in Belgio e non da grandi giri. Il mio primo ricordo è un Giro d’Italia vinto da Gimondi all’ultima curva, ero veramente piccolino. La fulminata totale però me l’ha data Francesco Moser. Moser rimarrà un idolo per tutta la vita: mi ha fatto emozionare. Quando correva lui e giocavo io cercavo di calcolare le ammonizioni per vederlo alla Parigi-Roubaix. L’ho seguito con una passione enorme. Lo trovai una volta in Versilia, aveva la maglia della Filotex e mi misi a seguirlo a distanza. L’avevo seguito anche quando era ancora un dilettante perché correva in Toscana al Bottegone e mio babbo mi diceva sempre che c’era un ragazzo forte».
Per l’allenatore della Lazio è difficile coniugare calcio e ciclismo:
«Io le corse spesso me le riguardo la notte, perché la sfortuna è che aprile, che è il mese delle classiche, comincia a essere il mese decisivo per le stagioni calcistiche. Maggio non ne parliamo neanche. Quindi azzero telefonino, televisione e non guardo nulla. Poi alle nove, alle dieci, quando stacco definitivamente dal mio lavoro, mi rilasso e mi guardo tutta la tappa o tutta la corsa. Penso nel ciclismo ci sia un’attenzione al particolare che nel calcio ancora non c’è. La differenza è che nel calcio si fa un gioco e nel ciclismo uno sport».
E ancora:
«Nel calcio può essere più importante l’abilità tecnica di una condizione fisica al top, mentre sulla bici se non stai al massimo a livello fisico, non c’è soluzione. Penso che nel ciclismo i ragazzi siano avanti anche a livello di cura di alimentazione, di reintegro. L’alimentazione è una nuova frontiera di miglioramento, questo lo sostengo da dieci anni e ora per fortuna siamo migliorati rispetto a quello che era negli anni ’70-’80, ma anche agli inizi del 2000. Poi anche la meccanica è un fattore, le bici che hanno ora i ragazzi sono fantastiche».