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Sindaco, riapra il cimitero delle Fontanelle. Napoli non può gioire senza le capuzzelle

In attesa del bando, compia un atto anarchico: faccia festeggiare le migliaia di morti insieme ai cosiddetti vivi. È uno dei due luoghi metafisici della città

Sindaco, riapra il cimitero delle Fontanelle. Napoli non può gioire senza le capuzzelle

Egregio signor sindaco di Napoli,

Ove mai avesse già stanziato dei fondi per finanziare coreografie e feste per la vittoria dello scudetto azzurro, mi permetto di consigliarle di dirottare, da queste quote, quanto necessario al fine di assicurare una data certa per la conclusione dei lavori di messa in sicurezza e la riapertura, nella città di cui lei è sindaco, del Cimitero delle Fontanelle, in vista dell’affidamento a chi si aggiudicherà il bando per l’assegnazione della sua gestione.

Il motivo, banalmente, è che, mentre alla cittadinanza non mancheranno certo occasione e spirito di iniziativa per partecipare al concorso del motto più spassoso da tramandare ai posteri, cui poco o nulla potrà aggiungere o togliere il Comune, altrettanto certamente non è possibile gioire di questo probabile successo senza cogliere che, alla sua realizzazione, hanno partecipato gli occhi delle anime pezzentelle tanto quanto le virate stordenti di Khvicha Kvaratskhelia.

Aldilà dei noti luoghi comuni e dei lungomari visti e rivisti, esistono infatti due soli luoghi fisici a Napoli che custodiscono, in modo mai visto altrove, altrettante questioni metafisiche: la Gaiola e il Cimitero delle Fontanelle – entrambi, ironicamente (ma neanche tanto), sostanzialmente affidati alla buona volontà di chi ne ha. Essi sono due poli apparenti di luce e ombra, il legame tra emerso e sommerso, il meglio di quanto Napoli da secoli è per voce delle sue voci migliori, cioè un vasto, intricato, disilluso eppur sereno racconto della morte. Si può sicuramente decidere di passare per Napoli, di lambirla, lasciando che quanto i più ritengono ineguagliabile di questi lidi sparisca dalla memoria senza lasciare tracce, ma questa sospensione concreta e pulsante tra esistenza e non esistenza, che in città si attraversa con la leggerezza dei semidei, non verrà mai ridotta ad inessenziale da alcuna opera umana. Se hai camminato una sola volta tra i teschi di quell’ipogeo, se una sola volta hai bagnato terga e natiche in quelle acque, tornare immacolato nel cosiddetto mondo dei vivi non è più possibile.

Il Cimitero delle Fontanelle è un atto di profondissima ribellione contro qualunque potere: la natura, l’istituzione, il dolore subito, la necessità, persino la gioia imposta. È un luogo di libertà da sempre reietto, osteggiato nei secoli sia dalla religione ufficiale che dal potere politico costituito, che pure ha continuato a viaggiare nel tempo, strisciante e silenziosamente riottoso, fottendosene. Come del mondo attorno e del suo dolore se ne sono fottuti questi calciatori, abbracciando un mirabile stato di grazia – pagano, molteplice, cangiante come i cinque cambi di Spalletti – che è quello proprio del Capitano, sia esso il nostro Di Lorenzo o la più apparentemente silenziosa testa dell’ossario.

Egregio signor sindaco, sottoterra ci sono centinaia di migliaia di morti senza nome e senza denari che non solo le stanno chiedendo di festeggiare assieme ai cosiddetti vivi il coronamento di un lungo, blasfemo, selvaggio lavoro, non solo hanno segretamente sospinto una parte del mondo a sostenere quegli undici sul campo, ma le stanno anche offrendo una mossa di marketing sensazionale. Quella che mostri al pianeta, per una volta almeno, una traccia di quella verità che tutti continuano a rinnegare – che Napoli è un seminario gratuito sulla non finalità di qualunque finale. Persino di quella di Champions.

Riapra quel Cimitero. A fine anno, schermendosi col blando discorso del bel gioco, molti commentatori faranno a gara a nascondere l’incazzatura per il primato azzurro dietro una patina di stucchevoli complimenti. Lei li colga di sorpresa. Faccia incazzare vescovi, segretari, storici, direttori di giornale, scrittori, tutti: riapra quel Cimitero. Come un atto anarchico. Dica che la festa a Napoli si fa di rado ma, quando accade, si invita il mondo intero.

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