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Il Napoli sa sempre cosa fare

La squadra di Spalletti ha interiorizzato i momenti della partita: sa quando accelerare, quando aspettare, e fisicamente sta ancora molto bene

Il Napoli sa sempre cosa fare
Atalanta's Colombian forward Duvan Zapata (L) and Napoli's South Korean defender Min-jae Kim go for a header during the Italian Serie A football match between Napoli and Atalanta on March 11, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP)

La tecnica e la tattica

Subito dopo la fine di Napoli-Atalanta, nella sua analisi postpartita scritta a caldo, Massimiliano Gallo ha giustamente sottolineato l’importanza capitale del gol di Khvicha Kvaratskhelia. Al di là della cifra estetica dell’azione, e ne parleremo, in quel momento la gara è come se si fosse stappata. Tra l’altro il Napoli era anche reduce da una sconfitta, da una partita senza gol segnati, quindi quella rete è stata ancora più pesante.

E allora, ripetiamo, è giusto celebrare il talento, la tecnica, la giocata meravigliosa del singolo. A mente fredda, com’è nello spirito di questa rubrica, c’è da raccontare – e da celebrare, perché no – anche altro: il modo in cui il Napoli ha costruito quel gol e quindi la vittoria di ieri. L’azione che permette a Kvara di slalomeggiare contro la difesa dell’Atalanta è infatti l’apice di un quarto d’ora, il primo della ripresa, giocato a ritmi infernali, insostenibili. Persino per una squadra dalla grande prestanza atletica come quella di Gasperini.

La vera discriminante, ed è questo che rende il Napoli una squadra unica nel contesto della Serie A, è che l’intensità di cui sopra è una caratteristica fisica – si manifesta cioè nel pressing furioso, nell’accorciare il campo difensivo, nello schiacciare l’avversario nella sua metà campo: tutte cose di cui parleremo in maniera approfondita – ma anche tecnica. Vale a dire: in quel famoso quarto d’ora, la squadra di Spalletti non ha solo aggredito in maniera selvaggia ed efficace gli avversari, ma ha anche alzato i giri e la qualità di ogni possesso. Di ogni azione. E così l’Atalanta non è più riuscita a contenere i calciatori in maglia azzurra. Praticamente ha dovuto concedere il primo gol. E poi ha incassato anche il secondo. Come se fosse inevitabile.

Non era iniziata così

Va detto che la gara del Maradona non era iniziata così. Il Napoli, infatti, ha disputato un primo tempo meno brillante rispetto al secondo. Analizzando la partita ex-post, è come se la squadra di Spalletti avesse studiato il suo avversario, tenendolo anche a bada. per poi accelerare al momento giusto. Fino ad annientarlo. Questo “ritardo” è anche merito dell’Atalanta, di Gasperini: nel primo tempo, infatti, i bergamaschi sono riusciti a limitare il primo possesso degli azzurri con il sistema 1+2. Si vede chiaramente in questi frame:

Pressing alto su costruzione bassa

Gasperini ha fatto una scelta radicale, la cosa si percepisce chiaramente da queste immagini: Pasalic su Lobotka, Hojlund e Zapata sui due centrali e tantissimo spazio concesso ai due terzini. L’idea, evidentemente, era quella di indirizzare il gioco della squadra di Spalletti solo sulle fasce. Ci sono anche i numeri, a confermare questa tesi: nonostante il tridente offensivo sia sempre stato così aggressivo sulla costruzione dal basso, e quindi abbia tenuto una posizione avanzatissima, nel primo tempo l’Atalanta ha tenuto un baricentro piuttosto basso: 43,8 metri. Giusto per fare un confronto: il Napoli, sempre nel primo tempo, ha tenuto il baricentro sui 58 metri di media.

La conseguenza di questo dispositivo difensivo è semplice da intuire: dopo i primi scambi tra Gollini e i centrali, la palla finiva su Di Lorenzo oppure su Olivera – che, non a caso, hanno accumulati 107 e 87 tocchi di palla, rispettivamente – e a quel punto tutte le altre linee di passaggio erano chiuse. Anzi: congestionate. Perché nel frattempo si erano attivate le classiche marcature a uomo del calcio di Gasperini: i tre centrali sui tre attaccanti del Napoli; i due quinti a chiudere sui terzini e a dar manforte ai compagni per contenere gli esterni offensivi; i due interni, Éderson e De Roon, deputati a seguire Zielinski e Anguissa.

Olivera ha un po’ di campo, ma tutti i suoi compagni sono marcati. Fuori inquadratura, ovviamente, i tre attaccanti del Napoli sono seguiti dai tre centrali dell’Atalanta.

Il Napoli ha fatto fatica a uscire da questa ragnatela. Lo dicono i numeri: se guardiamo agli 8 tiri scoccati nel primo tempo dai giocatori di Spalletti, 3 sono stati respinti e 2 sono arrivati sugli sviluppi di palla inattiva. Insomma, le uniche conclusioni davvero pericolose degli azzurri sono state quella nata dalla percussione solitaria di Kvaratskhelia e quelle tentate da Politano al termine di 2 azioni diverse. Il primo dei 2 tiri pericolosi dall’esterno ex Inter e Sassuolo nasce da una situazione che, nel corso della partita, ha fatto la differenza per il Napoli: un recupero palla in posizione avanzatissima grazie al pressing coordinato.

Guardate e memorizzate bene il movimento che fa Anguissa col suo gambone

Si tratta di un recupero palla che avviene in modo rapido, anzi si può dire fulmineo. Eppure, nonostante la velocità, questa situazione di gioco è frutto di un lavoro, di un’idea: quella per cui la perdita del possesso attiva immediatamente la riaggressione alta del Napoli. Lo ha detto Spalletti nel postpartita, parlando del gol segnato da Kvaratskhelia: «Tutto parte da quel tipo di pressione: noi non ci abbassiamo ad aspettare dopo aver perso la palla. È un calcio che non ci piace. Per noi le riaggressioni sono fondamentali». Quest’azione chiarisce come e perché Spalletti abbia detto queste parole.

Prima del gol di Kvaratskhelia

Dopo l’intervallo, il Napoli ha cambiato marcia. Anzi, si può dire che ne abbia saltate due o tre, salendo direttamente dalla seconda alla sesta. E se questa frase può sembrare la semplice descrizione di una sensazione, ecco un po’ di numeri a supporto della tesi: nel primo quarto d’ora della ripresa, la squadra di Spalletti ha tentato 7 volte la conclusione e ne ha concesse 0 all’Atalanta; nello stesso segmento di gioco, gli azzurri hanno tenuto il pallone per il 66% del tempo e hanno costretto l’Atalanta a buttare via la palla come se scottasse: la squadra bergamasca ha tentato 12 lanci lunghi su 72 passaggi complessivi; il Napoli, invece, ne ha accumulati solo 6 su 132 appoggi complessivi.

Dal punto di vista tattico-strategico, e a pensarci bene la cosa più significativa è proprio questa, il Napoli non ha cambiato granché: mentre l’Atalanta ha continuato a giocare la sua partita per bloccare il gioco degli azzurri alla sorgente, cioè al momento della prima costruzione, i giocatori di Spalletti hanno cominciato ad andare più forte. A correre più veloci e a far correre il pallone da una parte all’altra del campo, in orizzontale e in verticale, cercando Osimhen e Kvara in maniera alternata. E, soprattutto, senza soluzione di continuità: attuando cioè lo stesso meccanismo di cui abbiamo già parlato sopra, quello della riaggressione alta, praticamente a ogni azione.

Il gol di Kvaratskhelia

È così, l’abbiamo già anticipato, che nasce il gol di Kvaratskhelia. Per la precisione, in quel caso non si tratta di una riaggressione alta in senso stretto, piuttosto di un classico caso in cui il pressing fa da regista, da creatore di gioco. Succede tutto in occasione di un rinvio dal fondo di Musso, dopo che Osimhen ha sfiorato il gol di testa su azione d’angolo.

Il portiere dell’Atalanta sceglie il rinvio lungo e trova Zapata, bravissimo come sempre a proteggere il pallone e a smistarlo per i suoi compagni, nonostante il suo marcatore sia un altro giocatore piuttosto fisicato come André-Frank Zambo Anguissa. Solo che poi lo stesso Anguissa e Politano vanno a infastidire – forse il verbo più giusto è “azzannare” – Ruggeri ed Éderson, mentre l’Atalanta spaccata in due per via del ricorso al rinvio lungo. Il flipper finisce per lanciare Osimhen spalla a spalla contro Demiral. Il resto lo avrete visto già mille volte sui vostri feed social, ma vale la pena vederlo ancora una volta:

Cosa vi ricorda quel movimento di Anguissa?

Prima di parlare di ciò che fa Kvaratskhelia, torniamo ancora un attimo a parlare del pressing di Anguissa e Politano. Del fatto che il Napoli, fin da quando è arrivato Spalletti, sia la miglior squadra della Serie A nella compressione degli spazi difensivi. In fondo tutto nasce da un concetto molto semplice, quello per cui ridurre il campo in cui difendere rende più agevole il recupero della palla. È un discorso geografico ma anche di tempi: come si vede benissimo in quest’azione, quando un giocatore ti aggredisce con quella foga, ti lascia pochi decimi di secondo per ragionare ed eseguire la giocata. Qui Ruggeri ed Éderson non sbagliano dal punto di vista concettuale, ma sono letteralmente chiusi all’angolo, e allora servirebbe che il passaggio ad aprire il campo sia perfetto. Visto che Éderson non è propriamente Modric, il suo passaggio non è propriamente perfetto.

Poi avviene anche un’altra magia: pressare ad alto ritmo e comprimere il campo difensivo – vale a dire portare molti avversari a giocare in spazi stretti, costringerli a giocare la palla velocemente – porta inevitabilmente ad attaccare in un campo più largo e più lungi. In un campo dove Victor Osimhen e anche Khvicha Kvaratskhelia sono praticamente inarrestabili, incontenibili. Poi ci si mette pure la qualità: Kvara infatti sembra pattinare ma anche danzare in campo, sposta due volte il pallone a velocità supersonica e poi lo scaraventa con una forza inaudita nella porta di Musso. Tutto col destro. Tutto in pochi istanti.

Prerogative

Nonostante avesse trovato il gol del vantaggio, il Napoli non ha mollato la presa. Anzi, ha continuato a manifestare lo stesso impressionante livello di aggressività e precisione nel pressing sui portatori di palla avversari. Una volta recuperata la sfera, forse gli azzurri sono stati un po’ meno diretti: solo 3 tiri tentati nell’ultima mezz’ora abbondante di gioco, compreso il raddoppio di Rrahmani. Questo, però, va letto come un segnale di maturità: il Napoli non aveva bisogno e quindi non doveva continuare a tenere certi ritmi in tutte le fasi di gioco, però bloccare l’Atalanta in quel modo avrebbe reso meno sofferto il finale. E allora ecco gli ingressi di Ndombélé per Zielinski e di Elmas per Politano, due cambi che hanno dato maggior fisicità. E allora ecco lo stesso pressing intenso e portato con molti uomini, per bloccare sul nascere le azioni della squadra di Gasperini.

In alto, il Napoli pressa in modo organico e compatto pochi istanti dopo il gol; sopra, stessa cosa sul 2-0, dopo i cambi.

Il risultato è che l’Atalanta, nella stessa mezz’ora abbondante di gioco, ha messo insieme solo 3 tiri tentati: uno di Muriel, uno di Zapata e uno di Ruggeri, tutti respinti o bloccati tranquillamente da Gollini. Dall’altra parte del campo, Rrahmani ha trovato il raddoppio con un bel colpo di testa su calcio d’angolo. Ma ciò che più conta, almeno dal punto di vista dell’analisi tattica e anche tecnica, è che il Napoli è riuscito a battere l’Atalanta in maniera netta e totale. Le sfide del passato in cui gli azzurri pagavano dazio alla fisicità della squadra bergamasca sembrano vecchie di un secolo: oggi Spalletti ha a disposizione un organico che può competere con quello di Gasperini anche da questo punto di vista, anzi il Napoli visto ieri ha difeso in modo più atletico, moderno e anche fisico rispetto agli avversari.

Su tutti, ha giganteggiato Kim Min-jae: nonostante sia uscito a mezz’ora scarsa dal fischio finale, il centrale sudcoreano ha messo insieme il numero più alto di interventi difensivi tra tutti i calciatori in campo. Per la precisione: 3 contrasti vinti, 4 passaggi intercettati e 5 palloni spazzati. Come se fosse un muro di ghisa invalicabile per chiunque. Persino per Zapata e per Hojlund, due degli attaccanti più esplosivi dell’intera Serie A.

Conclusioni

Al netto dell’ennesima conferma sulla profonda coerenza tecnico-tattica alla base del progetto-Napoli, la vittoria contro l’Atalanta ha dato delle indicazioni importanti. La prima: la squadra di Spalletti ha ancora una condizione fisica eccellente, altrimenti non avrebbe potuto accelerare in quel modo all’inizio della ripresa. E, soprattutto, non sarebbe riuscita a mantenere per tutto il secondo tempo un’intensità così alta nel pressing. La seconda: questa condizione fisica viene gestita in modo intelligente. Forse anche a causa del vantaggio in classifica, il Napoli dà la sensazione di decidere quando e come alzare i ritmi delle proprie partite.

L’ultima indicazione è di carattere mentale, ma riguarda anche il campo: per la seconda volta – la terza se consideriamo il doppio pareggio contro Lecce e Fiorentina a inizio campionato – la reazione dopo una sconfitta è stata immediata e stordente per gli avversari. Questa capacità di riprendersi subito è frutto di un gran lavoro sulla mente dei giocatori, ma in realtà è anche un fatto tattico: Spalletti ha messo insieme una squadra completa – cioè che è in grado di fare molte cose diverse tra loro – e al tempo stesso identitaria, che sa sempre quali carte andare a pescare per risolvere le mani più difficili. E sa anche giocarle, queste carte.

In questo senso, il fatto che l’Atalanta sia stata limitata a 6 tiri scoccati in tutta la gara è un dato eloquente. Soprattutto se pensiamo che la squadra di Gasperini, in media, calcia verso la porta avversaria 13,2 volte per match. Il fatto che il Napoli sia riuscito e riesca a tenere questo rendimento difensivo che lo faccia giocando in modo divertente ed efficace anche in avanti, giocando «un calcio che piace ai calciatori» per utilizzare le parole di Spalletti, ha un valore inestimabile. E la classifica di Serie A lo dice in maniera inequivocabile.

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