A Cronache di Spogliatoio: «Credo nell’abnegazione: se ogni giorno lavori per migliorare sono certo che in partita in un modo o nell’altro verrai ripagato».

L’attaccante della Roma, Andrea Belotti, si racconta in una lunga lettera pubblicata su Cronache di Spogliatoio. Parte dallo spiegare perché viene chiamato «Gallo». Belotti racconta che il soprannome viene dalla richiesta di un amico di infanzia, che di cognome fa proprio Gallo che alla vigilia di una partita dell’Albinoleffe (in cui giocava all’epoca Belotti) contro la Feralpisalò, chiese ad Andrea, se avesse segnato, di esultare con la cresta del gallo in suo onore. E così andò, ma l’amico aveva fatto tardi alla partita: non la vide mai.
Belotti racconta la sua infanzia.
«Il Gallo Belotti è nato con la fede e cresciuto in oratorio».
Ci si ritrovava lì per pregare e giocare a calcio, basket e a pallavolo.
«Era proprio bello. Crescere in oratorio significa entrare in contatto con tante persone. Un modo diverso di trascorrere la giornata. La chiesa mi ha accompagnato: facevo il chierichetto e a casa i miei genitori mi hanno trasmesso fin da piccolo la fede. È un qualcosa che da sempre vive dentro di me. La preghiera prima di ogni pasto, la preghiera prima di andare a dormire. Io credo veramente: ognuno è libero di farlo con la potenza che vuole, non è un obbligo. Ma per farvi capire: io ho due idoli. Il primo è Giovanni Paolo II: nessuno ha fatto quello che ha fatto lui, le sue gesta sono di gran valore. Il secondo è Don Sergio, il parroco di Calcinate: è una persona che ha il dono di farsi voler bene, perché oltre alla religione e alla fede mi ha trasmesso quei valori che reputo fondamentali, essendo il primo a giocare con noi e a mettersi a disposizione degli altri».
Belotti parla dei suoi valori, di ciò in cui crede.
«Credo nel lavoro e, a volte, anche nel destino. Credo nel gol, davanti alla porta. Credo nella determinazione… Credo nell’abnegazione: se tu, ogni giorno, lavori per migliorare mettendo quel qualcosa in più, io sono certo che in partita in un modo o nell’altro verrai ripagato. In breve tempo, o nel lungo periodo, ma verrai ripagato. In campo sono testardo: tra i miei amici, sono arrivato soltanto io».
Sulla Nazionale:
«Sono caduto a picco con le mancate qualificazioni ai Mondiali, ma ho pianto quando abbiamo vinto l’Europeo. Qualcosa di unico. Fin dal primo giorno, c’era felicità. Durante gli allenamenti, nessuno si tirava indietro. Durante le partite, ognuno era disposto a dare tutto per l’altro. C’era un entusiasmo atipico. Capimmo fin da subito che c’erano gli estremi per scrivere una pagina destinata a rimanere nel tempo. Il gruppo di giocatori era di livello, mister Mancini è stato bravissimo. Ma ci tengo a dire una cosa. Una persona fondamentale, per me, è stata Gianluca Vialli. Ho in mente un momento. Una mattina, dopo colazione, arrivo al campo un’ora prima, pensando di non trovare nessuno. E invece c’era una persona che correva da sola. Un’ora prima dell’appuntamento. Era lui. In quel preciso istante, ho pensato che nonostante tutte le difficoltà che stava passando, lui stava correndo. Con la sofferenza che aveva dentro, con i milioni di problemi che si portava dietro. Con la sua forza. Gianluca era pronto ad aiutarti, sempre. Eppure era lui quello che aveva bisogno di aiuto. Quando vedi una persona dare tutto quello, ti guardi dentro e senti che ti sta trasmettendo una forza devastante. Sono convinto che vivrà per sempre dentro di noi. Ci sono delle persone che hanno un dono: lui aveva quello di saperti entrare dentro. Ricordo che, io e lui, restavamo anche 5 ore a parlare. Io lo fissavo, imbambolato, osservando la sua bocca. Non volevi perdere neanche una parola di quello che ti diceva. Era una grande persona».
Parla dell’estate del tormentone di Belotti al Milan:
«La mia famiglia ha sempre cercato di alleggerirmi i momenti: belli o brutti che fossero. L’estate dei 100 milioni, il mio nome era da tutte le parti. Si leggeva «Belotti» ovunque. Probabilmente, all’inizio sono stato consigliato nel modo sbagliato. Ho avuto la forza di lasciar correre. Si diceva che era fatta con il Milan per 58 milioni, che dovevo andare a giocare la Champions League. Si parlava ovunque della mia valutazione, di quanto valesse Belotti, di cosa dovesse fare Belotti, di quale fosse l’opzione migliore per Belotti. Credo nell’equilibrio. Questa è la storia del Gallo. Di Andrea».