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Castellacci sul doping: «A volte erano i giocatori a chiedere dosi maggiori di farmaci»

Ad Open: «Prima i medici erano amici dei presidenti. Le società facevano pressing su di loro per far giocare il più possibile i calciatori»

Castellacci sul doping: «A volte erano i giocatori a chiedere dosi maggiori di farmaci»

Enrico Castellacci, stimato medico sportivo ex Juve e soprattutto della Nazionale campione del Mondo del 2006, in un’intervista ad open.online ha parlato della questione legata all’abuso dei farmaci negli anni ’80 e ’90 dopo le recenti scomparse di Vialli e Mihajlovic. Il dottore inizia dicendo:

«Partiamo dal presupposto che questo è un momento emozionalmente molto forte. La perdita di due personaggi così amati ha inevitabilmente colpito. Questo crea una suggestione non indifferente sul possibile collegamento tra le morti a cui assistiamo e l’utilizzo di farmaci di cui gli ex atleti hanno memoria. Le preoccupazioni in questo senso ci sono da sempre e ciclicamente vengono riproposte: quello che è necessario fare ora è uscire dalla bolla emozionale in cui tutti siamo sprofondati per renderci conto di un fatto oggettivo: non esistono ad oggi prove scientifiche che confermino un reale collegamento tra i farmaci di cui parlano gli atleti e i tumori. Questo dobbiamo ribadirlo per onestà intellettuale. È altrettanto chiaro che l’abuso di qualsiasi farmaco è sempre un grosso rischio in sé e questo non sarebbe giusto sottovalutarlo».

La medicina sportiva negli  anni ’80 e ’90.

«Una medicina dello sport molto diversa da quella di adesso, mi permetta di dire anche a livello culturale. La classe medica è totalmente cambiata. Prima i medici delle squadre erano certamente di professione ma spesso erano anche amici di presidenti e frutto di conoscenze varie. Oggi i medici scelti devono necessariamente avere la specializzazione in medicina dello sport, vengono presi con criteri di scientificità e professionalità intensi. Quello che voglio ricordare è che si sta parlando di farmaci che all’epoca erano assolutamente legali. E che solo dopo sono entrati nella lista delle sostanze dopanti. Un medico che a quel tempo prescriveva farmaci lo faceva nel pieno della legittimità della sua azione terapeutica. Dopodiché è anche chiaro che un altro elemento molto presente nell’ambiente calcistico di quei tempi era la pressione. Un pressing psicologico che le società esercitavano sulla squadra e sul medico, chiamato a far giocare il più possibile il calciatore».

Castellacci su farmaci performanti:

«Sì ma stiamo parlando di tutti elementi che, seppur parti importanti di una realtà, non avrebbero giustificato l’abuso farmacologico. Da presidente dei medici del calcio mi sento di dire che i medici che prescrivevano questi farmaci lo facevano con la ferma coscienza di non poter creare delle problematiche».

La responsabilità delle dosi eccessive:

«Non credo sia possibile fare una classifica. Dagli atleti ci può essere stata l’intenzione di esasperare la terapia medica per il desiderio di rientrare subito in campo o per essere più performanti. La loro attenzione e conoscenza su ciò che prendevano era molto bassa. Resta il fatto però che se un medico è convinto che il farmaco in over dose faccia male deve controllare e impedire. Il giocatore, molto probabilmente senza informarsi, chiedeva lui stesso di prenderne di più, come è stato raccontato. Dopodiché non dimentichiamoci che ogni atleta è sotto il controllo medico. Se le colpe ci sono, sono dell’intero sistema. Anche qui non posso non ricordare che attualmente porteremmo a processo un meccanismo la cui pericolosità non è scientificamente provata».

Castellacci sul collegamento tra farmaci e tumori:

«La questione del Micoren ha sempre fatto impressione: non è facile venire a sapere che uno dei farmaci che hai usato di più da quel momento è considerato sostanza dopante. Da medico posso dire che ho forti dubbi sul fatto che dosi relative di Micoren possano aver avuto un reale effetto nocivo. Il sovradosaggio è un altro discorso e non si può escludere che ci sia stato. Ma soprattutto sul collegamento con i tumori io andrei molto cauto. Rispetto alla Sla, per esempio, c’è molta meno evidenza sul piano oncologico. Questo però non vuol dire che la riflessione non debba essere fatta. Ho apprezzato quello che hanno detto Boranga, Tardelli e gli altri. Hanno posto delle riflessioni essenziali a livello medico: la ricerca oggi ha il dovere di approfondire».

Castellacci chiude:

«È una possibilità. Ma l’abuso di antinfiammatori fa male a qualunque persona, qualsiasi professione faccia. È ancora troppo poco quello che sappiamo. Credo si abbia il dovere di andare avanti».

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