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Zucchero: «Sono nato in campagna, preferivo avere i frigoriferi pieni piuttosto che vestiti firmati»

Al Secolo XIX: «Se mi presentassi in gara a Sanremo non mi prenderebbero perché non sono un influencer. So che dovrei essere più attuale, ma non ne sono capace».

Zucchero: «Sono nato in campagna, preferivo avere i frigoriferi pieni piuttosto che vestiti firmati»
Sanremo (Im) 04-08/02/2020 - 70° Festival di Sanremo / foto Pamela Rovaris/Image nella foto: Zucchero

Il Secolo XIX intervista Zucchero Fornaciari. Gli viene chiesto se si sente un artista internazionale. Dice di sentirsi un emiliano che gira il mondo. Non dimentica le sue origini.

«Mi sento un emiliano. Ma che gira il mondo. Non perdo mai la memoria di quello che sono, non dimentico nemmeno per un minuto la mia Roncocesi. Però mi piacciono anche le sfide, suonare in posti dove magari non si fanno grandi concerti o dove la gente non ci penserebbe mai a spostarsi. Stravaganti come un bellissimo anfiteatro all’aperto nelle Isole Mauritius, o in Sudafrica e Libano».

Ovunque, però, si esibisce in italiano.

«Questo è il bello, in inglese ne farò due, tre al massimo. Ma non immagina cosa si prova, ad esempio, quando a New Orleans, dove il novanta per cento del pubblico è nero, tutti ballano e battono le mani, senza comprendere una parola. Se riesci a finire il concerto con la stessa intensità, ti prendi una bella soddisfazione».

Zucchero dice che a Sanremo non lo prenderebbero mai in gara, nonostante sia un artista internazionale.

«Probabilmente, anche se mi presentassi in gara, forse non mi prenderebbero perché non sono un influencer. Non ho niente a che vedere con queste figure. Alle quali non importa nulla di me, quindi sono cambiati i tempi. Lo so che molti mi dicono: dovresti essere più attuale, contemporaneo. Ma non ne sono capace».

Cosa intende per attuale?

«L’ultima che ho sentito è metaverso. Sulle prime pensavo che intendessero una specie di orso. Poi mi sono reso conto che è una categoria del mondo virtuale. Ma cosa c’entra con me? Io sono nato in campagna e preferivo avere i frigoriferi pieni piuttosto che bei vestiti firmati. Se ora lei mi indica una nuova frontiera, virtuale, non saprei nemmeno da dove cominciare».

Per fare cultura, in un Paese, vale più la fantasia o la tecnica, magari raffinatissima? Zucchero non ha dubbi:

«La prima. Un grande musicista magari non sa creare nulla. E può accadere anche il contrario. Il mio amico Bono e gli U2 non sono virtuosi. Anzi. Come non lo erano nemmeno i Beatles, che lo hanno scritto pure nei libri. A me è capitato di circondarmi di colleghi bravissimi con i loro strumenti, ma se gli chiedevi di creare qualcosa, quello che portavano non ti arrivava al cuore. Non devi sapere leggere una partitura, per fare cultura. E comunque non puoi affidarti solo a chi è nato e vive nel mondo classico. Altrimenti per noi, che facciamo canzoni, sarebbe finita».

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