Dotto su Luis Enrique: a Roma la ferocia della piazza lo ridusse a una larva. Cade e si rialza sempre

Sulla Gazzetta. Se ne andò per consunzione, invecchiato di dieci anni. Ogni volta raccoglie i suoi pezzi e va avanti, fregandosene 

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San Pietroburgo (Russia) 02/07/2021 - Euro 2020 / Svizzera-Spagna / foto Uefa/Image Sport nella foto: Luis Enrique

Sulla Gazzetta dello Sport Giancarlo Dotto firma un ritratto del commissario tecnico della Spagna, Luis Enrique, la cui Spagna, al debutto al Mondiale in Qatar, ha fatto faville battendo il Costa Rica 7-0. Sette gol di rara bellezza, scrive Dotto, come le sette partite che Luis Enrique ha dichiarato di essere venuto a vincere.

“Sfrontato? No, leale. Come sempre”.

Perché Luis Enrique è “acqua pura, acqua chiara. Un uomo sempre nudo al cospetto delle cose che accadono“. Oltre che un uomo estremo, che non conosce mezze misure: “dalle sue parti c’è sempre qualcosa che esonda, lo crivella”.

Dotto scrive:

“Che gli spacchino da calciatore la faccia con una gomitata, che lo caccino da allenatore tra insulti e pernacchie o perda un Europeo ai rigori dopo aver dominato in lungo e in largo. Che gli muoia una figlia di 9 anni, Xana, per un cancro alle ossa. Lui cade, stramazza, ma si rialza sempre e parte per il deserto a pedalare tra le dune e gli scorpioni”.

Non serba rancore. “Lucho accetta il destino e riparte”.

“Le sue particelle elementari sono comunque protese alla virtù, che nel suo caso è l’etica del desiderio. Andare dove si deve andare. Raccoglie ogni volta i suoi pezzi, l’uomo tutto d’un pezzo, ben sapendo e fregandosene che tutto è sabbia tra le dita“.

Il suo carisma speciale, scrive Dotto, “è in quella tutta sua malinconica dedizione all’assoluto”. E ricorda il periodo a Roma: un calvario.

Un calvario il passaggio a Roma. Che nel tempo Lucho ha imparato ad amare, come tutte le cose che lo hanno aiutato a crescere. Un (fragile) marziano a Roma. Ridotto a una larva dal massacro di una piazza che sa essere feroce come poche. «Sto male», disse una volta pubblicamente e si capì che stava male veramente. Aveva detto: «Voglio dare il gioco alla Roma e la gioia ai suoi tifosi». Non ci riuscì. Se n’è andato per consunzione. Invecchiato di dieci anni. E fu solo un anno, un anno di troppo. «Che cosa ho fatto di male per meritare tutta questa merda?» disse. Il più struggente, accorato grido di dolore mai udito prima nei postriboli del calcio. Luis Enrique resta per molti, sempre meno, un allenatore incomprensibile, uno dei meno pagati del Mondiale: 1,15 milioni, cinque volte meno di Flick strapazzato dai giapponesi e suo prossimo rivale nella sfida dentro o fuori. Ma l’uomo non finisce di stupire”.

L’ultima trovata è il collegamento Twitch tutte le sere.

“L’uomo del deserto e delle spedizioni spirituali s’è inventato una nuova frontiera della comunicazione. Un boomerang, se i risultati non dovessero arrivare. Lucho ha la stoffa del kamikaze”.

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