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Da Ronaldo in poi, la Juve e Agnelli hanno sempre giocato al rialzo. E sono andati a sbattere

Chi capisce di economia gestionale, glielo aveva sconsigliato. Gli unici a essere d’accordo erano i giornalisti che oggi ci spiegano il loro fallimento

Da Ronaldo in poi, la Juve e Agnelli hanno sempre giocato al rialzo. E sono andati a sbattere
Db Villar Perosa (To) 14/08/2019 - amichevole / Juventus A-Juventus B / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Andrea Agnelli-Cristiano Ronaldo

Quando il gioco si fa duro, torna a scrivere per il Napolista Gordon Gekko che, ad esempio, nei giorni caldi spiegò immediatamente come e perché sarebbe naufragato il progetto Superlega. Stavolta ci scrive un articolo sulla vicenda Juventus, le dimissioni di Agnelli e soprattutto racconta come si è arrivati al disastro bianconero. 

Ciao amici napolisti. Vi racconto questa storiella. Un amico molto attendibile mi ha raccontato che sue mesi prima di perfezionare l’acquisto di Ronaldo, la dirigenza della Juve si consultò con società specializzate in diritti sportivi e gestione aziendale. Pare che fossero alla ricerca di pareri autorevoli che dessero il via libera all’operazione CR7. E invece sembra proprio che i pareri ricevuti furono tutti negativi. L’acquisto di Ronaldo – pare che dissero proprio così ai vertici Juventus – si sarebbe rivelato un’operazione insostenibile per la struttura economico-patrimoniale della società sportiva.

Che cos’avrebbe fatto allora un’azienda normale? Di fronte a pareri qualificati così netti, si sarebbe quantomeno posta dubbi, avrebbe avviato ulteriori approfondimenti. La Juventus no. Si sono impegnati senza indugi in un’operazione di investimento di taglia complessiva (trasferimento, salario lordo, intermediazioni e costi con essi) equivalente all’intero fatturato dell’azienda (che chiude stabilmente in perdita), dai ritorni improbabili, senza appostare una riserva a copertura e neppure informare adeguatamente i mercati sui rischi connessi (poi puntualmente verificatisi).

Che non si trattasse di un affare lo si capì quasi subito. Gli abbonati erano già tanti e i prezzi dei biglietti tirati. Gli sponsor non vollero saperne di rinegoziare i contratti prima della scadenza, il famoso milione di magliette rimase un miraggio e la conquista della Champions pure.

Nel frattempo, il salario della superstar spinse gli altri calciatori a rinegoziare al rialzo i compensi, la gestione sportiva si complicò e indusse nuovi errori sul mercato e nella gestione degli allenatori. I conti, logicamente, andarono fuori controllo.

A quel punto un’azienda normale cosa fa? Prende atto, blocca l’emorragia, cambia il management e corregge repentinamente la rotta. Loro no. Cercano di spostare avanti il problema ma gli va di sfiga perché arriva il Covid e la valvola di sfogo delle plusvalenze salta. La situazione precipita inducendo a nuovi errori come la Superlega e la maldestra trovata del differimento dei salari. Senza il Covid probabilmente sarebbero andati avanti ancora un anno o due al massimo prima di andare a sbattere.

A quel punto in un paese normale cosa succede? Che i giornalisti che fino a un mese prima avevano magnificato su giornali prestigiosi la gestione sapiente della dirigenza della Juventus, ammettono l’errore o alla peggio si mettono buoni lasciando passare la bufera. E invece in Italia quelli vanno in televisione a spiegarci come stanno le cose.

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