Sergio Palmieri: «Nel 1987 McEnroe picchiò Leconte, staccai la corrente del Foro Italico per farlo vincere»
Lo storico direttore degli Internazionali a La Nacion: "Stava perdendo con Davin e io diedi 100mila lire di mancia a un addetto per staccare la corrente»

1981 archivio Image / Sport / Tennis / John McEnroe / foto Imago/Image
Sergio Palmieri, storico Direttore degli Internazionali d’Italia, una volta staccò la corrente al Foro Italico, per consentire a John McEnroe di battere l’argentino Franco Davin e andare avanti nel torneo. Era il 1987. Palmieri confessa a La Nacion, dopo 35 anni dopo. Era un mondo ancora selvaggio, quello del tennis dell’epoca. Godereccio.
All’epoca era il numero 8 al mondo, ma non sulla terra rossa. Quando nell’estate europea del 1987 fu annunciata la sua presenza agli Open d’Italia, Roma fu rivoluzionata. Johnny Mac non aveva mai messo piede al Foro Italico.
Il sorteggio lo aveva piazzato come sesta testa di serie contro un avversario di qualificazione al primo turno: l’argentino Franco Davin, che aveva 17 anni ed era appena entrato nella Top 100. L’esordio di McEnroe era previsto per il 12 maggio 1987 in notturna, col Centrale tutto esaurito. Lungi dall’essere intimidito, Davin vinse il primo set 6-3 e andò avanti anche nel secondo set. Tutto sembrava destinato a finire malissimo. Per l’impotenza di organizzatori e sponsor, l’adolescente di Pehuajó stava per fare il colpaccio. Ma all’improvviso, le luci dello stadio si spensero. Blackout al Centrale. I giocatori furono mandati negli spogliatoi e quando tornarono in campo, 30 minuti dopo, McEnroe era cambiato: vinse quattro game di fila ma sul 4-2), va di nuovo via la luce. Il nervosismo e l’incredulità dominavano la scena. Il gioco riprese 55 minuti dopo e McEnroe vinse il set, 6-2 e poi la partita, dopo la mezzanotte in Italia.
McEnroe cadde solo in semifinale contro Wilander. Davin, ancora arrabiatissimo, andò al torneo successivo, a Firenze, con una certezza più che un sospetto: avevano intenzionalmente staccato l’elettricità per interrompere lo slancio e permettere a McEnroe di vincere e continuare a “vendere biglietti”. Sospettava all’apoca di Sergio Palmieri manager dell’americano e uomo con molta influenza nel tennis italiano.
E lui, Palmieri confessa. Svelando anche il pregresso del “fattaccio” di Roma, anche questo meraviglioso:
“L’ho detto a Franco dopo molti anni. Non era più il McEnroe numero 1, ma non aveva mai voluto giocare a Roma e sarebbe stata un’occasione unica. Io non ero ancora il direttore del torneo, ma… mi conoscevano a Roma. Prima di venire in Italia McEnroe era a Nimes, in Francia. Io non ero con lui. Eravamo d’accordo che la partita fosse su 3 set e non su 5. Mi ha chiamato il giorno prima della partita perché giocava contro Henri Leconte. In Francia gli avevano detto che era al meglio dei 5 set, lui mi chiama e mi fa: “Ma Sergio, alla fine è…”, e io: “No, sono 3 set, ma fammi parlare con gli organizzatori” che erano Pascal Portes e Dominique Bedel (ex tennisti francesi). Gli dico: “Ragazzi, non era questo l’accordo”. Quindi abbiamo fatto un compromesso: chi è davanti due set a uno deve vincere il quarto. Pertanto, sarebbero stati al massimo 4 set. Spiego l’accordo a John e lui mi dice che va bene. E poi cosa succede? Va due set a uno, ma Leconte, con tutto il pubblico che lo motiva, vince il quarto set. McEnroe si arrabbia con lui: “Sei un pezzo di merda; avevamo un accordo”. E se ne va senza giocare il quinto set”.
Ed ecco dunque che succede.
“Doveva venire a Roma anche lui. Avevo preparato un aereo privato per John e lui disse a Leconte che lo avrebbe lasciato a piedi. Quando è arrivato a Roma aveva i capelli dritti perché era ancora arrabbiato. Doveva giocare con Davin, di notte. Eravamo negli spogliatoi prima della partita e, quando si stava preparando per uscire a giocare, è entrato Leconte. Avevo John davanti a me, senza vedere chi c’era dietro. E si è trasformato, ha afferrato Leconte e ha iniziato a picchiarlo. C’era Tiriac, che era il manager di Leconte. Tiriac e io li abbiamo separati… E poi l’arbitro è venuto a chiamare McEnroe e Davin in campo. Tutto questo pochi minuti prima della partita”.
“Quindi vanno in campo, è la prima partita che John gioca a Roma e Franco, che è forte, vince il primo set. McEnroe spara palle ovunque. Allora chiedo a uno dei manutentori: “Se si stacca la corrente, quanto tempo ci mette a riaccendersi?”, e lui mi ha risposto un quarto d’ora o venti minuti. Allora gli ho dato 100mila lire per spegnere le luci. Le luci si spengono, tutti vanno negli spogliatoi. E lì dico a John: “Che diavolo stai facendo? Gioca!”. Lui ridacchia un po’, ma si calma e poi vince il secondo e il terzo set abbastanza facilmente. Per rendere le cose credibili, stacco la corrente una seconda volta e nella partita successiva”.
Dopo la partita, hai detto la verità a McEnroe? “Sì, gliel’ho detto. Ma non subito. Gliel’ho detto dopo un po’, dopo qualche mese. Ci siamo messi a ridere. Posso raccontare un’intera vita di ciò che ho vissuto con lui. Perché non scrivo la mia biografia? Me lo hanno chiesto. Le biografie devono essere vere e, per essere vere, devi dire cose che non puoi”.