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Il nuovo Napoli è figlio del libero mercato e della globalizzazione

Così si è arrivati a Kvara e a Kim. La sottocultura populistica si nutri di sentimenti stagnanti. L’impresa, invece, ama il nuovo

Il nuovo Napoli è figlio del libero mercato e della globalizzazione
Mg Verona 15/08/2022 - campionato di calcio serie A / Hellas Verona-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Khvicha Kvaratskhelia-Kim Min Jae

Appurata la sua natura extraterrestre, a cosa si deve, soprattutto, l’arrivo di Kvaratskhelia nel Napoli? A due realtà che godono di scarsa fortuna nell’immaginario cittadino e nazionale: il libero mercato, con le sue regole e la globalizzazione, con le sue ramificazioni da cui in tanti sono apparentemente atterriti.

Partiamo dal target di un bilancio sano: una società che lavori per mantenere il proprio stato patrimoniale solido (l’altrimenti noto “scudetto del fair play” nel giro nutrito degli intellettuali nostrani) si trova, dinanzi ad una crisi continentale, indotta principalmente da fenomeni eccezionali come la pandemia, a dover compiere delle scelte necessarie. I celebri tagli. Sebbene tagliare i costi di esercizio suggerisca sempre immagini di rovine aziendali e conseguenti interminabili lotte sindacali da rendere pane da talk show, nella realtà risparmiare può diventare necessario per evitare di fallire. O di costruire fittizi accordi di riduzione di stipendi, corredati da scritture private che viaggino su Whatsapp (il tema della sicurezza telematica e della sua percezione in Italia è un altro specchio dell’analfabetizzazione tecnologica nazionale, ma meriterebbe un capitolo a parte) da consegnare alle procure.

Tagliare – cioè risparmiare – è importante perché una azienda che fallisce, pare strano doverlo ribadire, non avrà nulla su cui risparmiare. Il Napoli ha questa necessità e, per evitare di prendere un brocco e imboccare una china pericolosa, cerca ovunque, facendo buon uso della globalizzazione. Ora, pur non sottraendo alcun merito a Giuntoli, che l’universo mondo calcistico ha riscoperto genio nelle ultime otto settimane, il motivo per cui i talent scout di mezzo mondo calcistico vanno a cercare talenti in un gruppo tutto sommato ristretto di paesi è che lì, banalmente, il tasso di errore è minore e, se hai tempi ristretti, la probabilità di fallire devi minimizzarla. In questo caso, per il successo dell’operazione al talento di Giuntoli si uniscono due fattori importanti: da una parte i tempi dilatati di una crisi mondiale prolungata (pandemia) permettono osservazioni e trattative lunghe, dall’altra l’accelerazione di una crisi mondiale creata dall’invasione russa in Ucraina spinge il calciatore a trovare nuove strade in tempi ridotti. Giuntoli può permettersi il lusso di seguire una strategia di lungo corso – la riduzione del monte ingaggi – e giovarsi delle nuove condizioni geopolitiche che portano Kvaratskhelia a liberarsi del contratto con il Rubin Kazan per tornare in patria alla Dinamo Batumi. Insomma, Giuntoli è bravissimo, ma mercato e globalizzazione fanno tutto il resto. La ciliegina sulla torta è la voglia di crescere e guadagnare di Kvaratskhelia che (per fortuna del Napoli) torna in Georgia e non finisce in Premier o alla Liga– dove, bene prepararsi, il georgiano andrà ben presto, se continua così. Il mercato dà e prende.

A differenza del famoso cuore di una parte degli appassionati, che ha accolto in maniera tiepidina l’idea che un extracomunitario non avvezzo al difficilissimo campionato italiano potesse sostituire addirittura il capitano della squadra, i soldi e i bilanci non hanno problemi di passione – e neppure mostrano quella calorosa xenofobia mascherata da tifo di cui gli striscioni su Kim, ad esempio, hanno dato contezza. Mercato e globalizzazione sono la base del commercio che, in un opportuno contesto di regole stabilite e riconosciute, tendono ad essere assai meno xenofobi dei famosi appassionati di cui sopra.

Lo stesso mercato è unico sovrano anche della questione stadio, ormai dimenticata. Il Maradona che ospitava Napoli Sassuolo era riccamente pieno di persone di ogni età e genere, a dimostrare per la ennesima volta che i settori si riempiono se esiste un interesse da parte dei fruitori, che sono a tutti gli effetti clienti di uno spettacolo, pronti a pagare quando ne sentono il piacere. Il tema prezzi è inesistente, se non nelle sacche cittadine e nazionali di sottocultura populistica di cui, per altro, il paese è stracolmo. Il calcio è un prodotto, chi lo fa si assume gli oneri e fissa i prezzi, il cliente paga e acquista o non paga e fa altro. Fine della storia. Non c’è altro da commentare. Chi racconta l’acquisto di un tagliando o una trasferta come si trattasse di una cessione del quinto o un viaggio della speranza verso una trincea da difendere lo fa per qualche interesse o perché vive in una astrazione virtuale – la realtà è tutta un’altra cosa.

Da ultimo: mercato e globalizzazione, vivaddio, dimenticano. Non tutto e non sempre, ma una buona dose di cose. In città esiste un refrain per cui chi ama soffre del morbo del memorioso di Borges, non dimentica, utilizzato per dipingere quella che sarebbe una malattia come un indispensabile valore. L’impresa, invece, ama il nuovo. Prova, misura, corregge, ripete. La rivoluzione tecnica del Napoli, tutto sommato, ha in sé anche una natura casuale, per i motivi sopra citati, ma arriva quando qualcuno si decide a posare sul tavolo i soldi: nel 2022, Insigne vale il Toronto, Mertens vale il Galatasaray, Ospina vale l’Al-Nassr, Ruiz vale il PSG, Koulibaly il Chelsea. Questo dice il mercato globale che, dinanzi ai danari che altri sono disposti a spendere, non solo dimentica ma vuole solo quanto si può realizzare ora e subito – perché, per spingere un pallone in porta, i ricordi servono a poco. Servono i piedi.

Certo, tutto quanto brevemente riportato sin qua, fa correre il rischio di inaridire la grande bellezza che si riaffaccia a Napoli. Oppure può aiutare a far aprire gli occhi su chi siano i populisti e perché, chi aiuti la città a crescere e come, chi spinga Napoli nel pantano e con quali scopi. La realtà ci dice che mercato, globalizzazione, prodotti, bilanci, se mossi in un contesto ragionevole, sono i motori del mondo. Chi li osteggia ha sempre un motivo, spesso nascosto, per farlo. È bene essere curiosi e capire quali sia.

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