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Il gol di Raspadori nasce dalla filosofia judo di Lobotka e Kvaratskhelia

L’analisi dettagliata di sei perle tecniche del Napoli di ieri sera: dallo scambio Anguissa-Raspa, alla torsione di Di Lorenzo fino all’apoteosi dell’1-1

Il gol di Raspadori nasce dalla filosofia judo di Lobotka e Kvaratskhelia

Raspadori e gli altri gesti tecnici da urlo

È stata una partita da non crederci, ed infatti ancora non ci si crede.

Una partita così colma e straripante di gesti tecnici individuali e di “insieme” da renderne difficile, per ovvie ragioni di spazio,  una dettagliata analisi ed un racconto completo.

La scelta ricade quindi sugli episodi tecnici hanno più catturato l’attenzione di chi scrive, privilegiando percezioni e sensazioni “soggettive”, fino però a concludere con quello che è un chiaro ed “oggettivo” esempio di cosa significhi giocare a calcio (cosa ben diversa dal giocare a pallone, magari un giorno torneremo sull’argomento).

Questi i gesti tecnici a mio avviso superlativi:

1) L’eccezionale scambio in verticale, in quella fase che chi ha trasformato il calcio da spettacolo sportivo a narrazione spettacolarizzante definisce “transizione attiva”, tra Anguissa e Raspadori nell’azione del gol di Zielinski.

Anguissa salta da fermo almeno un metro facendo sua di testa una classica “seconda palla” nella nostra tre quarti, indirizzando il pallone a Raspadori.

Il quale, come da suo solito lavoro di cucitura tra reparti e da sua solita intuizione, sta già andando a ricevere il pallone laddove poi lo riceve; la palla gli sta però arrivando troppo addosso, ed anzi gli sta arrivando molto alta rispetto alla possibilità che possa provare un controllo prima della sponda ad Anguissa, complice la grande velocità con cui l’attaccante sta avvicinandosi all’azione, che gli fa quasi perdere il tempo di giocata.

A questo punto Raspadori compie un gesto geniale, per quanto possa sembrare banale.

Si accorge che Anguissa quel pallone lo rivuole, e lo rivuole sulla corsa proprio in quella zona di campo in cui una pronta ricezione del pallone lo metterebbe faccia al campo per provare ad entrare lui nello spazio o a provare l’imbucata.

A questo punto, per non perdere né il tempo di giocata, né l’occasione che gli chiede il compagno, mentre sta spostandosi con la corsa e con il corpo verso la destra del campo (rispetto a noi che difendevamo) allo scopo di portarsi dietro il movimento della pressione avversaria, accarezza il pallone con la testa in pratica riappoggiandolo nella direzione sinistra contraria, e con questa sponda leggera e geniale chiude il triangolo ad Anguissa.

Che a quel punto si trova a campo aperto e nella condizione di scegliere quale delle due richiamate soluzioni adottare;

2) Il gol di Zielinski (a cui si arriva proprio partendo dallo spettacolare uno-due di cui sopra).

Chi scrive, nel commento ai gesti tecnici della partita di domenica scorsa, riferiva proprio della capacità di Zielinski, tra i pochissimi in Europa, di gestire e trattare la palla da ambidestro vero (e cioè indistintamente con entrambi i piedi), pur essendo un destro naturale.

Ed infatti, cosa fa Zielinski ?

Non solo si lancia nello spazio a ricevere l’imbucata di Anguissa, resa possibile ed agevole proprio grazie all’uno-due sopra descritto, cosi declinando il più classico schema di risalita verticale in cui il “terzo uomo” (e cioè quello apparentemente non interessato allo scambio tra i primi due compagni) si butta nello spazio a ricevere la palla.

No.

Appunto, Zielinski riceve la palla e copre 40 metri di campo conducendola solo di sinistro per poi concludere a rete (appunto) con il sinistro, gesto tecnico che ne scolpisce su pietra la caratteristica (di ambidestro vero) che lo contraddistingue, perché solo chi ne è caratterizzato riesce non con il suo piede naturale: a) a mantenere il vantaggio di corsa sugli avversari pur dovendo portare il pallone; b) a mantenere la direttrice di movimento verso la porta senza uscire dallo spazio di luce dei pali, così impedendosi il tu per tu con il portiere; c) a mantenere questo spazio e questo tempo ridotto di copertura del campo grazie ai tocchi dati al pallone con la giusta parte del piede, e con la giusta carezza, ovvero dose di forza (sembra facile, ma chi ha giocato a calcio seriamente sa che è uno dei gesti tecnici più difficili da compiere); d) appunto, a tu per tu con il portiere, ad indirizzare la palla, tipo sponda da biliardo, in quella buca d’angolo che è il palo lontano dal portiere.

3) Il gol di Di Lorenzo, ed anzi:

a) lo stacco imperioso a piedi pari (cosa più difficile da farsi rispetto allo stacco che avviene con il classico “terzo tempo”, in cui lo slancio dei passi della corsa precedente e lo stacco che in genere avviene con la gamba forte ti consente di raggiungere la massima altezza dal suolo); b) la torsione del corpo esercitata già durante lo stacco, così da poter imprimere al pallone, insieme al contestuale movimento della testa, la direzione che gli si vuole imprimere; c) la palla direzionata sul palo lontano, scelta frutto non solo di grande intelligenza calcistica (è il palo “lungo”, quello più lontano dal portiere  e dove più difficilmente si può arrivare), ma anche di grande capacità fisica, perché imprimere quella frustata al pallone mentre si stacca in quel modo è cosa non da tutti (anzi: non da tutti i terzini destri d’Europa);

4) Il triangolo tra il campione georgiano e Raspadori sul gol di Kvaratskhelia

Sempre proseguendo nella scia della giocata “con gli altri” (se Kvara si accorge definitivamente che gli altri possono essere sponde per le sue personali soluzioni, diventa definitivamente immarcabile), il georgiano chiede il triangolo veloce al suo compagno (perché sa che ne ha le caratteristiche per “seguirlo” nella giocata) e sa che, come al solito, la prima mossa della difesa avversaria rimane quella di battezzare la marcatura su di lui, vistane la pericolosità, così lasciando il compagno più libero nell’esecuzione di quanto lo riguarda.

A quel punto, una volta ricevuta la palla, Raspadori compie l’ennesimo gesto tecnico incredibile della sua partita.

 

È girato di tre quarti rispetto alla linea del pallone che gli arriva, eppure non perde il tempo di giocata usando semplicemente due armi: la delicatezza del tocco ed il semplice movimento, o meglio la semplice rotazione (a corpo immobile) della caviglia del piede sinistro, che gli consentono di chiudere il triangolo – in quel fazzoletto di campo e con quella densità di avversari che lo coprono – con i giri giusti ed il tempo giusto.

5) Il recupero della palla di Anguissa sul secondo gol di Raspadori

Frank si accorge di quale sia il giocatore su cui il portiere ha battezzato l’appoggio, si accorge che il passaggio è troppo lungo e va ad aggredire spazio e pallone.

La cosa eccezionale, però, è che una volta piombato sul pallone, per mandare a vuoto il tentativo di contrasto da parte dell’avversario pianta la gamba sinistra per terra a sua copertura, si fa scivolare il pallone sul piede destro, lo accarezza accompagnandolo dall’altra parte del corpo, manda così a vuoto il difensore dell’Ajax ed è pronto per riappoggiare il pallone al suo compagno che mette in pratica a calciare un rigore in movimento.

 

Una giocata alla Zidane, per intenderci, in cui consapevolezza dei propri mezzi fisici e tecnici, oltre che uso combinato del corpo e del trattamento del pallone rendono di fatto impossibile all’avversario il poterlo recuperare e garantiscono all’interessato quella possibilità di giocata che già si è prefigurato.

6) Arriviamo all’ “oggettivo”, e cioè a ciò che effettivamente vale la serata, oltre che il prezzo del biglietto.

Ci si riferisce allo sviluppo dell’azione sul primo gol di Raspadori e ai due gesti tecnici che l’hanno reso possibile.

Caressa e Bergomi stavano lodando da dieci minuti il pressing dell’Ajax nella nostra trequarti, ed in particolare la scelta di ricorrere e di non rinunziare mai all’uno contro uno in ogni zona del campo sul modello Gasperini, più  volte citato negli entusiastici commenti verso i “lancieri” della squadra olandese (peraltro, proprio quel Gasperini che, dall’inizio di questo campionato, sembra aver abbandonato questa filosofia a favore di una più agevole attesa della risalita del campo da parte degli avversari).

Ebbene, proprio mentre il “peana” dei commentatori raggiungeva l’apice succede questo.

C’è un lancio lungo dalla difesa dell’Ajax verso la linea difensiva del Napoli.

Tutta la squadra segue la traiettoria del lancio e, appunto, cerca di andare in massa a pressare la linea difensiva napoletana che sta posizionandosi, in nome di quell’uno contro uno a cui non può mai rinunziarsi.

E qui avviene la cosa strepitosa.

Kim legge la traiettoria e di petto smorza il pallone per Olivera, il quale l’appoggia subito a Lobotka.

Lobotka, grazie alla “periferica” tipica dei grandi registi, si è già accorto che stanno andando a pressarlo per togliergli fisicamente la possibilità di giocare il pallone.

Ma l’organizzazione ideologica a volte si scontra con il “genio”.

Ed infatti, Lobotka, primo ricevente della palla da Olivera, pianta il piede “perno” (il sinistro) nel terreno, usa la parte sinistra del corpo per schermare la palla dall’intervento dell’avversario in pressing, per poi aprire morbidamente il piatto destro (con apposita rotazione della caviglia che ciò consente) per far arrivare la palla al campione georgiano che gli è vicino.

Prima pressione avversaria disinnescata.

A quel punto Kvara, anche lui accortosi del pressing che gli incombe addosso, rimanendo fermo con il corpo si fa scivolare la palla sul collo destro per agevolarne (con quel leggero ed impercettibile tocco che gli dà) l’arrivo ad Olivera.

Seconda pressione avversaria disinnescata.

Perché nel frattempo Olivera, con una leggera corsa che gli consente di attendere la fine di questo percorso del pallone che sta arrivandogli, è già posizionato in quello spazio libero che gli hanno garantito le due geniali giocate dei compagni, per poi appunto ricevere la palla ed involarsi laddove deve arrivare per chiamare il movimento di Raspadori (che va a concludere in “zona Callejon”, dietro all’ultimo uomo che chiude la diagonale della difesa avversaria).

Un’azione, questa, che mi ha ricordato ciò che concettualmente mi dicevano del “paradosso” dello judo: sfruttare la violenza avversaria per disinnescarla.

È cio che fanno Lobotka e Kvara: la violenza cieca del pressing e dell’uno contro uno (peraltro in quel momento in una zona del campo innocua per l’Ajax) viene disinnescata con due leggere mosse del corpo e del piede.

E olè!

Tutti a casa, con buona pace di Caressa e Bergomi.

Che, da quel momento, smettono di parlare di uno contro uno.

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