ilNapolista

Alvini: «Il successo? Non è per forza una vittoria, ma un viaggio di gruppo, un cammino comune»

A Sportweek: «Quando ho saputo che in tribuna c’era Vialli mi sono emozionato. Rappresenta i miei 20 anni. Sogno di parlare una volta con Mancini».

Alvini: «Il successo? Non è per forza una vittoria, ma un viaggio di gruppo, un cammino comune»
Ferrara 08/08/2022 - Coppa Italia / Cremonese-Ternana / foto Image Sport nella foto: Massimiliano Alvini

Sportweek intervista il tecnico della Cremonese, Massimiliano Alvini. Ha debuttato in Serie A per la prima volta quest’anno, a 52 anni e dopo oltre 20 anni di carriera.

«Sono partito dal basso come giocatore e come allenatore, non ho avuto la visibilità di chi si è fatto un nome giocando. Ma passo dopo passo sono arrivato. E la considero una fortuna enorme. Ringrazio le società che mi hanno voluto e tutti i giocatori che ho allenato».

Racconta il suo percorso.

«Mio padre disegnava scarpe. Io amavo il pallone, ma dovevo anche lavorare. Per cui, con mio fratello, dal ’92 al 2013, ho fatto il rappresentante di suole delle calzature. Ma non ho mai voluto lasciare il pallone. Nel 2008 allenavo il Tuttocuoio per 700 euro al mese. Quando ho conosciuto Carla, la mia futura moglie, le ho confessato subito quanto amassi il calcio. Abbiamo avuto tre figli. Intanto ho iniziato a vincere finché ho lasciato il lavoro per dedicarmi solo al calcio, che è la mia vita. Bergamo, Reggio Emilia, Perugia, Cremona. Se ora sono qua, in A, grande merito è della mia famiglia per i grandi sacrifici che ha fatto. Sei giorni con la squadra, il lunedì a casa. Devo ringraziare chi mi è stato vicino, chi ha sempre supportato le mie scelte. Io inseguivo un sogno, a Carla il calcio non è mai interessato, ora qualche volta viene a vedere le partite».

L’autenticità

Il suo segreto è la gioia. Parla dei suoi difetti e dei suoi pregi:

«Difetti ne ho tanti: sono permaloso, testardo, insistente. Ne sono consapevole, ma sono fatto così. Del resto sono quel che appaio, non fingo e non mi nascondo dietro a maschere».

Questa autenticità ha colpito i tifosi.

«È perché io sono felice di quello che faccio e amo condividere emozioni con chi mi sta a fianco. Per come concepisco io il calcio, una società è come un organismo che vive e respira all’unisono. Società, squadra, tifosi: mi piace che siano tutti sulla stessa lunghezza d’onda. Compattezza e unità sono la base su cui costruire tutto il resto».

Che cos’è il successo?

«Non è necessariamente una vittoria ma un viaggio, un viaggio di gruppo, un cammino comune».

Letture e musica

C’è qualche persona o personaggio che l’ha particolarmente ispirata?

«Leggo e studio molto, ma non seguo nessuno in particolare. Ho apprezzato parecchio Pier Paolo Pasolini perché amava il calcio. A livello calcistico, da ragazzo avevo tre idoli: Vialli, Mancini e Baggio. Per questo quando mi hanno detto che c’era Vialli in tribuna mi sono emozionato, perché per me lui è rimasto il Gianluca dei miei vent’anni, ho reagito da fan. Così come mi piacerebbe parlare una volta con Mancini: le corse che ho fatto le domeniche in cui non giocavo io per vederlo in campo, alla Samp e alla Lazio…».

Attore e cantante preferito?

«Mi piace molto Marco Giallini, per me il numero uno per i suoi film e per la sua storia personale molto toccante, ma adoro anche i film di Carlo Verdone, li trovo molto divertenti. Ascolto spesso la musica, soprattutto Baglioni e i Negramaro ma anche i Coldplay e gli U2. Mi piace usare la musica anche nel lavoro: a San Siro ad esempio ho fatto ascoltare ai ragazzi Luci a San Siro di Roberto Vecchioni».

Il momento più difficile della carriera?

«Quattro anni fa, a Bergamo, quando ho avuto un grave problema di salute, al cuore. Non smetterò mai di ringraziare il personale medico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII. Da allora la prospettiva con cui guardo le cose è cambiata».

ilnapolista © riproduzione riservata