Al Festival dello Sport: «Da presidente Fia la sicurezza è stata la mia priorità. Un mio ritorno alla Ferrari? I capitoli sono fatti apposta per passare da uno all’altro»
Jean Todt ha rilasciato alcune dichiarazioni ospite al Festival dello Sport di Trento.
“La Ferrari è stato il più bel capitolo della mia carriera. Ma oggi vivo le cose diversamente. Ho molto rispetto per il lavoro di eccellenza che fanno anche altre squadre. E’ stato difficile, ma è stato bello. E per me difficile e bello sono concetti che vanno insieme, perché il bello dipende molto dalla difficoltà di quel che hai fatto. E così che si genera la soddisfazione”.
Possibile un suo ritorno alla Ferrari?
“Avrei un dubbio che fosse una notizia vera. Ma ci sono sotto tante notizie che non sono vere. Ho fatto una colazione a Torino con Andrea Agnelli. Tanti mi hanno visto e tanti hanno pensato che avrei dovuto lavorare con… la Juve. È ovvio che quando ero presidente della Fia sentivo spesso John Elkann. E abbiamo parlato spesso delle ambizioni della Ferrari. Ma c’è differenza tra parlare, condividere speranze, e lavorare insieme. Io penso che i capitoli sono fatti apposta per passare da uno all’altro”.
“Ogni epoca e diversa, non voglio dare consigli. È facile dare consigli. L’unico che gli posso dare è di resistere. E poi ora la Ferrari sta facendo molto bene. Mi pare che la gente non se ne renda del tutto conto. La Ferrari è tornata a vincere. Penso che tutti, beh, quasi tutti, vorremmo vedere la Ferrari vincere i campionati, non solo qualche gara. Possiamo augurarcelo per il prossimo anno, perché quest’anno non credo sia più possibile. Ma per vincere serve eccellenza a tutti i livelli. È difficile raggiungerla, e ancora di più mantenerla. Si comincia con l’eccellenza nei particolari. Da quello che risponde al telefono nell’azienda. Se in un’azienda non rispondono al telefono dopo dieci squilli, quella non è una buona azienda Non si possono fare due errori uguali, se succede significa che c’è qualcosa da cambiare”.
“Fa parte dell’evoluzione delle corse, ma anche delle macchine stradali. Una volta la gente andava alle corse come si andava alla corrida: voleva vedere un pilota, un uomo, ferito. I corridori avevano caschi che oggi non porterebbe nemmeno un ciclista. Jackie Stewart, Niki Lauda si sono battuti per la sicurezza. Quando sono stato eletto presidente della Fia ho subito messo la sicurezza come primo punto, non solo per le corse, anche a livello stradale. Non sempre è facile, perché la gente è riluttante ai cambiamenti. Gli episodi che mi hanno fatto pensare all’Halo sono stati quello che ha coinvolto Massa a Budapest e quello in cui ha perso la vita il figlio di Surtees. La gente non lo voleva, l’Halo. Io ho chiesto agli ingeneri: “Questa cosa salva la vita ai piloti? Sì, mi hanno risposto. E allora l’ho imposto. L’unica cosa che possiamo dire è che abbiamo perso un po’ di tempo in merito”.
“Mah, Michael lo conosco molto bene, Max no. Max come Michael è molto determinato, molto aggressivo. Michael fuori dalla pista è una persona meravigliosa. Di Max non so, non posso dirlo. Ora lo vedo tutto concentrato sulle corse, giustamente. Poi, ovvio, tutti e due hanno avuto a disposizione grandi macchine. Perché per vincere ogni pilota, per quanto eccezionale, ha bisogno di una macchina competitiva”.
“Charles è già un grande campione. Gli manca ancora qualcosa, mi auguro che lo abbia presto…”.
Ancora su Schumacher e il suo legame con la sua famiglia:
“Per me è un privilegio essere vicino, in famiglia con Michael, con Corinna, con Mick e Gina. La loro vita è cambiata il 29 dicembre 2013. Devono vivere tutto diversamente. L’ importante e che ci sia la vicinanza degli amici. E di Keep Fighting, la loro fondazione. Sono cose che fanno parte della vita è che sono più importanti dei risultati e delle nostre amate corse. La vita, per tutti, non è solo corse”.
Sulla Ferrari:
“La Ferrari ad un certo punto ha avuto la migliore auto del campionato. Poi ha perso certe opportunità, penso alla strategia, a una Safety Car entrata al momento sbagliato, a problemi di affidabilità. Diversi episodi che hanno avuto in costo. Su questo c’è da riflettere per evitare che si ripetano. Mai lasciare nulla di scontato. E se riesci a non lasciare nulla di scontato, allora ci saranno tutti gli ingredienti per essere campioni”.
Sugli ordini di scuderia:
“Nell’epoca di Schumacher non c’era un pilota numero uno o due: lui è Irvine, lui è Barrichello, lui e Massa son sempre partiti alla pari, con lo stesso trattamento. Poi dopo quattro cinque gare parlavano i risultati”.
Rimpianti?
“Ne ho cinque: i cinque campionati che avremmo dovuto vincere in Ferrari e non abbiamo vinto. E poi abbiamo fatto errori, ma è umano: chi non fa errori?”.
Sull’orgoglio:
“Orgoglioso è una parola che non mi piace. Sono orgoglioso di mia moglie, di mio figlio. Per il resto serve umiltà. Quello che ho fatto non mi rende orgoglioso, mi rende motivato. La cosa che mi rende più felice, allora, è la fondazione medica che ho fondato sul cervello e il midollo spinale, sulle malattie come il Parkinson o l’Alzheimer. Un centro che ora ha 750 ricercatori, siamo il secondo centro di neuroscienza al mondo. E quella sì, è la cosa più bella che ho fatto”.
Sulla prudenza:
“Ogni anno 1.3 milioni di persone muoiono nelle strade del mondo. In Italia 4000 all’anno. Affrontiamo la gara come il Covid. Tutto il mondo aveva la maschera perché aveva paura. Così, dobbiamo usare le cinture, no al telefono, rispetto dei limiti, no all’alcol. Prudenza, perché in strada si muore”.