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In Italia i soldi da investire nelle scuole ci sono, ma vengono spesi male

Sul Messaggero il rapporto Fondazione Agnelli. La percentuale di spesa pubblica sul Pil è in linea con la media europea e gli insegnanti sono aumentati del 20% in 10 anni

In Italia i soldi da investire nelle scuole ci sono, ma vengono spesi male

In Italia i soldi da investire nelle scuole ci sono, ma il problema è che vengono spesi male. E così ci ritroviamo con scuole che cadono a pezzi, una miriade di supplenti e il sostegno affidato a docenti che spesso non sono specializzati. Ma i soldi, appunto, ci sarebbero. Lo si evince dal dossier della Fondazione Agnelli, “Le risorse per la scuola: luoghi comuni e dati reali”, basato su dati della Ragioneria dello Stato, del Ministero dell’Istruzione, di Eurostat e di Ocse. Il Messaggero ne riporta i risultati.

Innanzitutto, dal dossier si rileva che la spesa pubblica per la scuola, in Italia, non è diminuita e non si spende meno che negli altri Paesi d’Europa.

“In Italia, come spiega la Fondazione Agnelli, la percentuale di spesa pubblica sul Pil è in linea con la media europea, per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, le elementari e le scuole medie e superiori si spende come in Francia o in Germania. Anzi, osservando la spesa per ogni singolo studente, si scopre che l’Italia supera la media europea: si spendono circa 75mila euro per ogni studente fra i 6 e i 15 anni contro una media che si ferma intorno ai 72mila euro e sopra paesi come Francia e Spagna”.

In termini di percentuale del Pil, la spesa pubblica italiana per la scuola è rimasta stabile per anni e ha ripreso a salire nel 2020.

Ancora: non ci sono stati tagli del personale, anzi.

“La scuola, in Italia, è l’unico comparto della pubblica amministrazione in cui è aumentato il personale: più del 20% solo negli ultimi dieci anni. E il motivo va ricercato nel calo demografico: nonostante siano diminuiti gli studenti, non è stata modificata la quota di spesa”.

“Il numero degli insegnanti è costantemente aumentato negli ultimi anni. Infatti, sempre a causa del declino demografico, il rapporto studenti-docenti è in calo: nell’anno scolastico 2014/15 era 10,9 mentre nell’anno scolastico 2021/22 è stato 8,6 senza contare ovviamente gli insegnanti cosiddetti Covid, assunti a tempo determinato per gestire l’emergenza”.

E’ però cambiata la composizione interna del corpo docenti:

“nel 2015-2016, con le immissioni in ruolo della Buona Scuola, i docenti di ruolo erano diventati circa 730mila. Oggi sono diminuiti, scendendo a quota 700mila, per i pensionamenti. È aumenta quindi la percentuale dei supplenti: con la Buona Scuola la percentuale dei contratti a tempo determinato era al 14%, oggi è al 24%”.

E’ soprattutto il settore del sostegno che ha visto crescere il numero di docenti.

in 10 anni la quota dei docenti di sostegno a tempo determinato è passata da un terzo a quasi due terzi“.

Ma spesso questi docenti non sono preparati adeguatamente.

“vengono nominati infatti docenti che non hanno la specializzazione sul sostegno perché mancano quelli ad hoc”.

La retribuzione dei docenti italiani è invece inferiore rispetto a quella del resto d’Europa.

“In realtà si parte più o meno come gli altri ma poi la forbice si allarga a svantaggio dei professori italiani. Nei primi anni di professione, infatti, un insegnante italiano guadagna circa 25mila euro e in paesi come Francia, Portogallo e Finlandia si resta comunque sotto i 30mila euro. Mentre la Germania supera i 50mila euro. Nel corso degli anni le retribuzioni italiane sono poco dinamiche, come spiega la Fondazione Agnelli, perché legate solo all’anzianità, senza possibilità di carriera, che in altri paesi porta a livelli retributivi elevati. Non solo, il contratto dei docenti italiani è un caso praticamente unico in Europa perché quantifica solo le ore effettive di lezione, vale dire 18 ore settimanali per un professore delle superiori, a cui viene aggiunto un forfait di altre 80 ore nel corso dell’anno, quindi altre 2 ore a settimana, per le attività di programmazione, aggiornamento e ricevimento dei genitori. Non sono incluse, quindi, le ore dedicate alla preparazione delle lezioni e alle altre attività utili all’efficacia dell’insegnamento. Al contrario di quanto avviene negli altri Paesi”.

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