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Federer che sceglie Nadal per dare l’addio al tennis: lo sport allo stato puro

Dopo quasi venti anni di antagonismo e amicizia, è la chiusura perfetta. Il compimento della rivalità nel rispetto reciproco

Federer che sceglie Nadal per dare l’addio al tennis: lo sport allo stato puro
Melbourne (Australia) 29/01/2017 - Australian Open / foto Panoramic/Insidefoto/Image Sport nella foto: Roger Federer-Rafael Nadal

Ora come la mettiamo con la storia dello sport più individuale e monomaniacale di tutti? Ora che Roger Federer chiuderà la carriera giocando l’ultimo colpo al fianco di Rafa Nadal. Non dirimpetto. Non con una rete a separarne i ruoli nella rivalità. Assieme, in coppia. In doppio, e al raddoppio. Federer taglia il traguardo con l’antagonista di una vita per mano e porta a compimento una storia esemplare di sport. Dopo un ventennio abbondante di competizione quasi surreale, e altrettanto tempo speso ad annusarsi, battersi, logorarsi, rispettarsi e infine sciogliersi nell’intimità d’una amicizia.

Dove gli altri vedono Dei, il futuro si prospetta quasi banale: Federer andrà a trovare Nadal in Spagna, “in vacanza” ha detto lo svizzero a L’Equipe. Una birra, la spiaggia, una grigliata. I gemellini Federer iscritti all’Accademia di Nadal. “Ho già parlato con Mirka, è d’accordo”. Come fossimo noi, nel tinello delle nostre esistenze “normali”, che scegliamo se iscrivere i ragazzi al basket o al calcetto. Federer e Nadal è un’unione di fatto. Per cui, sull’altare, a Londra per la Laver Cup, ci si va assieme.

Federer ha chiamato Borg, che ha detto ok. Che ha chiamato gli avversari, il Team World dei comprimari Auger-Aliassime, Fritz, Schwartzman, de Minaur, Tiafoe e Sock. E figuriamoci: certo che si può fare, prego! Le regole della competizione prevedono che per giocare in doppio toccherebbe giocare prima il singolare. “Ma non ce la faccio”, ha detto Roger. Puf, la regola non esiste più. E’ un’esibizione, la Laver Cup. E questa potrebbe essere una delle più affascinanti esibizioni della storia dello sport. Davanti al terzo incomodo per sempre terzo: Djokovic, anche lui in squadra, ma in un angolino. Zitto e buono.

Questo è uno dei rari casi in cui la retorica è chiamata a fare il suo mestiere. Non c’è altro modo di raccontare questa storia, se non per suggestioni e significati. Le parole giuste sono di zio Toni Nadal, il testimone diretto di questa favola agonistica:

«Con loro ho visto da vicino lo sport allo stato puro: la lotta fino all’ultima energia senza mai perdere rispetto per il rivale e soprattutto per il gioco. Anzi, dico che non è stata una semplice rivalità, è stato un esempio a cui guardare nella vita. Hanno costruito un’amicizia sincera, un po’ alla volta. Può sembrare un assurdo, ma sono arrivati quasi a essere felici l’uno della vittoria dell’altro».

In questi giorni di lutto giornalistico, di contest semi-letterari a chi scriveva il pezzo più bello sulla fine di Federer, è stato sgranato tutto il rosario dei miti. Dal basket alla boxe. Zio Toni sottolinea l’unicità del dittongo, senza paragoni:

«Non penso che esistesse uguale relazione tra Connors e Borg o McEnroe e Lendl. Il tempo ha poi fatto la differenza: Foreman e Alì sono due giganti senza tempo ma non sono stati uno contro l’altro per così tanti anni».

Federer e Nadal hanno tirato i fili l’uno dell’altro, funzionando come pupari in un codice binario: diversi e paralleli, in costante volata. Al traguardo del primo, è “giusto” che lo accompagni il secondo. E’ Nadal che deve chiudere la carrellata degli “ultimi” di Federer, che L’Equipe riassume: Hurkacz, l’ultimo avversario in torneo; Sonego, l’ultimo sconfitto; Djokovic, l’ultimo a batterlo in una finale Slam ma anche l’ultimo top-10 ad essere battuto; Cilic, l’avversario dell’ultimo Slam vinto;  Gasquet, l’ultimo suo avversario in Davis.

La prima volta che Federer e Nadal si sono incrociati in campo da tennis faceva caldo. Era marzo. Erano a Miami. Era il 2004. Quel giorno il tennis ha un po’ smesso di essere uno sport individuale.

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