L’ex pallanuotista al Foglio Sportivo: «Per noi era puro divertimento, non guadagnavamo niente, ma le emozioni riempivano tutto. Ora abbiamo tutto e non abbiamo niente»
Sul Foglio Sportivo un’intervista all’ex pallanuotista Eraldo Pizzo. Soprannominato “il caimano”, è considerato il più forte pallanuotista italiano di tutti i tempi. Ha 84 anni. Fino a poco tempo fa era vice presidente della Pro Recco.
«Ora non ho incarichi, non sono più utile».
La prima partita ufficiale la giocò quando aveva 13 anni, nel 1951. Non era una partita qualsiasi, era il derby Camogli-Recco e segnò anche il suo primo gol.
La pallanuoto, all’epoca, si giocava in mare.
«C’era la diga con il campo all’interno della scogliera: lì giocavamo. Da mattina a sera sulla spiaggia. Mio fratello Piero andava lì e io, quattro anni più piccolo, dietro, lui mi proteggeva, stava attento. Meno male che a lui piaceva la pallanuoto. Se avesse giocato a calcio non avrei avuto successo, ero proprio scarso, il mio destino era quello. Sono felice di quello che ho fatto».
Nel 1959 iniziò l’epopea della Pro Recco.
«Era puro divertimento, non prendevi niente. Non è che sia contento di non aver guadagnato, però le emozioni riempivano tutto. Giocavi e vincevi, avevamo un paese alle spalle, a Recco eravamo la banda dei ragazzini. A Trieste ci siamo imposti con una pallanuoto moderna, di movimento. In quella vecchia il marcatore arrivava fino a metà campo, noi abbiamo scombussolato tutto: mai fermi, secondo le indicazioni di mio fratello Piero. Era tutto bello, non avevi niente che fosse in più, ma quel poco ti bastava, come il rapporto tra di noi. Queste cose si sono perse. Non avevamo una lira in tasca, andavamo al cinema a Camogli, al Sociale, a piedi. Dicevo no al gelato: ‘Sono pieno’. La verità: non potevo pagare. Un po’ di nostalgia ce l’ho, ti confesso, ora abbiamo tutto e non abbiamo niente, siamo deficitari dal lato umano».
E la pallanuoto?
«Quella di adesso non mi piace, forse è perché mi ricordo quando andavo alla Scandone, a Napoli, e c’erano i bagarini. I bagarini, dico, come al San Paolo. Oggi fai l’ingresso gratis e non riempi una tribuna. Qualcosa non va. E non lo dico contento, perché se la pallanuoto vince si ricordano di me».
Rimpianti?
«Come uomo no, da pallanuotista forse mi manca qualcosa di più a livello internazionale. Puoi essere Pelè o Ronaldo, ma se non ti supporta la squadra non vai avanti. Però ho avuto sempre belle esperienze dal lato umano. A Bogliasco, nel 1981, uscivo dall’ufficio e andavo in piscina. I ragazzi non entravano in acqua se non c’ero io. Non mi hanno mai considerato per quello che facevo, ma per come stavo con loro, più una guida che un campione».
Ha cominciato a 13 anni e smesso dopo 32. Ha sempre sostenuto uno dei più grandi assiomi dello sport, scrive Il Foglio, valido anche per il calcio: l’arbitro devi metterlo in condizione di non nuocere. “Se sbaglia, faglielo notare in un privato. Apprezzerà. Una scenata in pubblico se la legherà al dito”.
Chi ti ha soprannominato Caimano?
«Quando giocavamo in mare, l’arbitro stava su una barca e a controllare tutto faceva molta fatica. Quando fischiava ti dovevi fermare dov’eri, ma in piscina ci sono punti di riferimento, in mare no. Così io mi spostavo in avanti lentamente con gli occhi a pelo d’acqua. Il portiere avversario mi sorprese: “Guarda che ti vedo, sembri un caimano”».