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È finito il Napoli del nonnismo, le gerarchie le stabilisce il campo

È un gruppo con personalità da vendere, desideroso di assumersi le responsabilità. Kim, Kvara e Meret ne sono tre esempi. Non si gioca più per anzianità

È finito il Napoli del nonnismo, le gerarchie le stabilisce il campo
Db Milano 18/09/2022 - campionato di calcio serie A / Milan-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Alex Meret-Kim Min Jae

La mentalità e la personalità sono come il coraggio manzoniano: o ce l’hai o non ce l’hai. Non è una questione di età. L’età non c’entra niente. È roba militaresca, è una forma di nonnismo che ha molto presa in Italia paese che il merito non sa neanche dove sta di casa e gli avanzamenti di carriera sono o programmati o basati sull’attesa.

Il Napoli, questo Napoli. Il Napoli di Kim. Di Kvaratskhelia. Di Meret. Di Rrahmani. Di Mario Rui. Di Politano. Di Simeone. È un Napoli di calciatori affamati. Che non vogliono attendere. Perché non attendevano altro che la possibilità di vivere serate come quella di Milano.

E a Spalletti possono e debbono essere attribuiti tanti meriti. Ma in questo campo il suo è un ruolo minoritario, per non dire inesistente. Del resto è stato Spalletti, alla vigilia di Lazio-Napoli, a dire: “volete lo schemino di chi è andato via e di chi è arrivato?”. È Spalletti a ripetere il tormentone della squadra giovane. In questo è completamente immerso nell’italianità, ahinoi. La verità è che nemmeno Spalletti immaginava di avere calciatori con questa determinazione e una simile capacità di reagire.

Questo Napoli ha dato più volte prova di non sapere che cosa sia l’arrendevolezza. Lo ha fatto a Verona, prima giornata di campionato, in piena tormenta ambientale: per due volte ha reagito al pareggio degli scaligeri. E ha finito col vincere 5-2. A Roma con la Lazio dove la squadra ha ribaltato il risultato con 25 minuti – tra primo e secondo tempo – da urlo. A Milano ieri sera quando il Milan dopo il pareggio sembrava e voleva fare un sol boccone del Napoli e vincere la partita. E invece ha finito col subire la rete dell’1-2. Senza dimenticare Glasgow con la reazione dopo il doppio rigore sbagliato da Zielinski. Dovremmo parlare anche di Napoli-Liverpool ma lì ha dilagato sin dal primo momento.

L’immagine finale di Meret e Kim che si abbracciano è a nostro avviso emblematica del nuovo Napoli. Finalmente è stata fatta cambiare l’aria nello spogliatoio. Le finestre sono rimaste chiuse per tanto, troppo tempo. E si era creata quella gerarchia che era più figlia del nonnismo che della meritocrazia. Sono le inevitabili perversioni quando si sta per troppo tempo in un stesso luogo di lavoro. È connaturato alla natura umana. Non gioca chi è più forte ma chi è più anziano. L’aberrazione dello sport. E non avremmo mai visto Kim e Kvaratskhelia in queste versioni se nel Napoli fossero rimasti i titolari delle loro caselle.

La personalità si vede al primo tocco. E mentre la tecnica puoi migliorarla, con personalità e mentalità è un percorso molto più complesso. Oseremmo dire impossibile. Il merito del Napoli è stato quello di aprire le finestre. Il resto lo hanno fatto i giocatori. Messi in campo in maniera perfetta da Spalletti che come al solito è bravissimo tatticamente, oltre attento a tutelare le dinamiche del gruppo. Ma se Kim al primo anno in Serie A non ha ancora sbagliato un intervento dopo sette partite e assume sempre più le sembianze di un gladiatore, beh questo non dipende né dal tecnico né dalla società né dal direttore sportivo. Lo stesso vale per Kvaratskhelia. Anche nel Napoli si diceva: stiamo calmi, vediamolo all’opera in stadi come San Siro. Lo abbiamo visto, in un San Siro pieno. Ha fatto a pezzi il Milan, lo ha graffiato appena ha potuto e ha lasciato il segno.

È il Napoli di tutti. Ma è il Napoli simboleggiato da loro due, da Kim e Kvara che hanno portato un approccio mentale fin qui sconosciuto. E a loro due ci piace aggiungere Meret uno che si è difeso da solo, che è rimasto per caso, quando nel Napoli nessuno lo voleva. Nessuno. Sono i volti del nuovo Napoli. Non sono calciatori che obbediscono, per dirla alla Allegri. Sono calciatori che si assumono le loro responsabilità e lo fanno con naturalezza, come se non ci fosse altro modo di stare in campo.

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