A La Repubblica: «In orfanotrofio i parenti dicevamo che sarebbero tornati a prendermi ma non si è più visto nessuno. Ho iniziato con il calcio, ma correvo solo io»
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Su La Repubblica un’intervista a Yeman Crippa, nuovo campione europeo dei 10 mila. La firma Emanuela Audisio. Crippa spiega da dove deriva la sua marcia in più.
Chi non ha, spinge di più?
«Nello sport aiuta. La mia determinazione nasce dal fatto che mi sono dovuto conquistare tutto: un tetto, un letto, uno spazio. Ho avuto la fortuna di essere stato adottato in Italia, con fratelli, sorelle, cugini, nove in tutto, anche se una è mancata, dai Crippa, che non ci hanno mai fatto mancare niente, l’essenziale c’era, il resto no. Niente giochi, né scarpe costose, ci passavamo i vestiti, roba riciclata, giocattoli zero, si scendeva al bar e papà Roberto è stato subito chiaro: si tifa Inter. Quando quello che hanno gli altri per te è un miraggio, ti impegni ad ottenerlo, a non darlo per scontato. Tutti noi siamo indipendenti, ognuno con una propria casa. Lo ripeto: sono stato fortunato».
Ha perso i genitori quando aveva cinque anni.
«E ho solo brutti ricordi, dell’orfanotrofio, di quando i parenti ci hanno detto torniamo a prendervi e invece non si è più visto nessuno. I miei sono morti di una malattia infettiva».
Racconta che ha iniziato con il calcio.
«Ho iniziato con il calcio, da centrocampista, ma a correre ero solo io, i miei miti erano Eto’o e Stankovic, era il periodo in cui piangevo se l’Inter perdeva. Nel 2014 ho seguito gli Europei, ho visto la quattrocentista Grenot e il mezzofondista inglese Mo Farah, la voglia mi è venuta così. Certo che Jacobs ha Tokyo ci ha fatto capire che anche noi azzurri potevamo, ma poi riuscire a vincere nella realtà è tutta un’altra cosa. Avevo l’abitudine di festeggiare all’arrivo con il gesto della mitragliata, ma ho smesso, non mi sembrava appropriato».