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Il Napoli di Spalletti parla una lingua nuova

Il nuovo corso non prevede compromessi storici. C’è meno tecnica pura ma c’è più fisicità, più velocità nel far muovere la palla. E tanta verticalità

Il Napoli di Spalletti parla una lingua nuova
Mg Verona 15/08/2022 - campionato di calcio serie A / Hellas Verona-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Hirving Lozano

Il nuovo corso tattico, ma senza dimenticare il passato

La sensazione più vivida e quindi anche significativa lasciata da Hellas Verona Napoli 2-5 è quella del controllo. La squadra di Spalletti non ha mai dato l’impressione di aver perso il comando della partita, ed è un discorso valido da ogni punto di vista: tattico, tecnico e pure emotivo. Neanche quando il risultato si è improvvisamente – e incredibilmente – compromesso a causa del gol di Lasagna, neanche quando il Verona ha trovato un pareggio casuale e immeritato all’inizio della ripresa. Il Napoli ha tenuto il campo in maniera intelligente e matura, ha accelerato quando doveva accelerare e ha portato a casa i tre punti in maniera larga, comoda.

L’analisi deve necessariamente partire dal Verona, cioè da un avversario che si è consegnato inerme a Spalletti e ai suoi uomini. Rispetto al recente passato, Cioffi sembra voler varare una squadra meno aggressiva e fisica ma più camaleontica dal punto di vista tattico: il 3-5-2 in fase attiva che scivola e diventa 4-4-2 in fase passiva, un pressing selettivo e meno intenso una volta superata la prima linea, tagli delle punte e sovrapposizioni degli esterni a tutta fascia. Più di ogni altra cosa, però, è balzato all’occhio l’abbandono della marcatura a uomo esasperata – tipica del calcio di Juric e di Tudor – in favore di una difesa più bassa e attendista: una scelta che ha agevolato il Napoli di Spalletti, già in grado di coniugare il suo gioco con diversi modi e tempi.

Gli azzurri, infatti, hanno controllato la partita attraverso il possesso palla. Ma poi hanno trovato soluzioni offensive nuove, e soprattutto efficaci. Movimenti e giocate e sincronismi – soprattutto l’inserimento a turno delle mezzali, che tra poco vedremo in maniera approfondita – che hanno reso meno leggibile una manovra di dominio, condotta in massa nella metà campo avversaria. Abbiamo già detto della scarsa resistenza – tattica, prima ancora che tecnica – del Verona. Ma resta il fatto che questo nuovo corso tattico ha già mostrato dei frutti raramente visti prima. E anche piuttosto rigogliosi. Senza cancellare l’eredità del passato.

Un 4-3-3 piuttosto fluido

Cominciamo dal modulo di gioco: il Napoli è sceso in campo con il suo storico 4-3-3/4-5-1, solo che l’interpretazione di questo sistema è stata differente. Nuova, o quantomeno meno dogmatica rispetto a ciò che succedeva con Sarri e il primo Gattuso. Per due aspetti fondamentali: le posizioni mutevoli delle due mezzali e i movimenti dei due esterni offensivi. Andiamo per ordine e partiamo da Zielinski e Anguissa, che hanno svolto il loro ruolo in maniera diversa: in pratica hanno resto più fluido il 4-3-3, trasformandolo spesso in un  4-2-3-1. Il polacco ha alzato spesso il suo raggio d’azione, e in quei frangenti il camerunese si spostava accanto a Lobotka, componendo il doble pivote.

In alto, un momento della gara in cui il Napoli ha impostato il gioco dal basso col doppio centrocampista; in mezzo, tutti i palloni giocati da Anguissa; l’ultima grafica, invece, riporta tutti i tocchi di palla di Zielinski.

Queste immagini restituiscono esattamente le dinamiche che abbiamo descritto, ma questa varietà di stili e approcci non ha condizionato un aspetto a cui abbiamo già fatto riferimento: l’identica tendenza, da parte delle due mezzali del Napoli, a inserirsi in avanti non appena si è presentata l’occasione per farlo. Basta riguardare il primo e il terzo gol della squadra di Spalletti per capire cosa intendiamo: in entrambe le azioni, il centrocampista di parte si lancia nello spazio creato ad arte dai suoi compagni – nel primo caso con un lancio in profondità verso Lozano, nel secondo con un perfetto movimento a pendolo di Osimhen.

Nel primo caso, la corsa di Anguissa non viene premiata, ma il centrocampista del Napoli va a riempire un’area già presidiata da Osimhen e Kvaratskhelia – della presenza del georgiano parleremo più avanti. Nel secondo caso, la voragine aperta da Osimhen è un corridoio troppo invitante perché Kvaratskhelia, ancora lui, non serva Zielinski.

Pochi istanti prima dei due gol

Un nuovo modo di rifinire e seguire l’azione

Siamo arrivati a parlare degli esterni offensivi. E dell’immediata influenza di Kvicha Kvaratskhelia sulla sua nuova squadra. L’esterno georgiano ha avuto un impatto certamente tecnico – un gol e un assist che hanno indirizzato per due volte la gara – ma anche tattico, visto che con lui il Napoli ha già scoperto un nuovo modo di rifinire e seguire l’azione offensiva. Il confronto va fatto inevitabilmente con Insigne, cioè con colui che l’ha preceduto: anche l’ex capitano del Napoli avrebbe avuto la sensibilità tecnica e la freddezza necessarie per lanciare Zielinski in quel modo verso la porta di Montipò, e in questo caso stiamo parlando della rete segnata dal centrocampista polacco. Ma la cosa cambia se torniamo al primo gol. A uno stacco di testa che nasce da una statura diversa, e, conseguentemente, anche da un modo diverso – come detto – di supportare l’azione offensiva.

La diciamo in maniera brutale: con Kvaratskhelia al posto di Insigne in quello slot del suo attacco, il Napoli guadagna centimetri e forza. E quindi presenza in area di rigore nel momento in cui arrivano un cross alto o un appoggio basso dagli esterni. Insigne, naturalmente e inevitabilmente refrattario ai contatti fisici, preferiva ricevere il pallone e rifinire lui la manovra; era sempre pronto a inserirsi in area, ma sugli assist alti era ovviamente penalizzato dal suo profilo antropometrico, e allora spesso aveva sviluppato la tendenza a rimanere più largo, appostato nella sua zolla sul secondo palo, così da poter provare a intercettare la respinta della difesa avversaria.

Tutti i palloni giocati da Kvaratskhelia

In virtù di tutto questo, come si vede chiaramente anche da questo grafico, Kvaratskhelia gioca meno palloni nei pressi del vertice dell’area, nel mezzo spazio di centrosinistra; il georgiano allarga e allunga molto di più il campo e si sposta molto di più verso il centro del fronte d’attacco, anche perché non rientra solo sul destro ma sterza anche sul mancino; come detto, entra in area con maggior prepotenza, e poi tiene la posizione e offre uno scarico continuo in verticale.

Certo, l’assenza di Insigne e del suo stile accentratore da regista offensivo priva – ha già privato – il Napoli di una fonte di gioco continua. I dati lo certificano già in maniera chiara: anche se la squadra di Spalletti ha costruito le sue manovre soprattutto a sinistra (40% secondo le rilevazioni di Whoscored), la differenza tra i tocchi di palla di Kvaratskhelia e di Lozano, l’omologo sulla fascia destra, non è così elevata (49 contro 37); anche il numero di palloni giocati da Di Lorenzo (64) non è così lontano rispetto a quello di Mário Rui (73).

Hirving Lozano, ovvero a cosa serve il gioco verticale

Insomma, il Napoli continua a tendere un po’ a sinistra, solo che le proporzioni sono molto più bilanciate rispetto al passato. Non a caso, viene da dire, il gol del pareggio è stato costruito sulla fascia di Lozano; allo stesso modo, la bellissima azione in stile rugby che ha portato alla quinta rete, quella realizzata da Politano, è stata orchestrata sulla corsia destra. Il punto è che ora il Napoli attacca in questo modo pure a sinistra, perché anche da quella parte ora ci sono giocatori che non rallentano l’azione. E questo – paradossalmente, ma non troppo – ha finito per favorire Lozano. Sul messicano, a questo punto, è doveroso aprire un capitolo a parte.

Contro il Verona, Hirving Lozano è stato il giocatore del Napoli che, nell’ordine: ha servito più passaggi chiave, ben 5; è riuscito a completare più dribbling, 3; ha subito più falli, 4. Come se tutto questo non bastasse, ha tirato per 4 volte verso la porta di Montipò. Solo Osimhen, con 5 tentativi, ha fatto meglio di lui. Come già anticipato in precedenza, il messicano si è – già, subito – molto giovato della nuova impostazione offensiva del Napoli, che dopo la prima costruzione, dopo aver fatto salire tutti i suoi uomini di movimento della squadra avversaria gioca in maniera più diretta, più rapida, più elettrica rispetto al passato. È una conseguenza inevitabile: per un giocatore come lui, che ama attaccare ampie porzioni di campo, un possesso che fa viaggiare il pallone più velocemente diventa una grande occasione. L’azione intera del primo gol, in questo senso, è emblematica:

Come un passaggio in verticale ti rompe la difesa

Ecco come un possesso palla intelligente può manipolare e creare spazio. Ecco come un buon passaggio dietro le linee nemiche, e non sulla figura del calciatore, può creare i presupposti di un’azione pericolosa. Di un gol. È a questo che può portare uno stile di gioco verticale, diretto, a volte anche immediato. In fondo anche le squadre che giocano un calcio di possesso mettono in crisi le difese avversarie nel momento in cui riescono a superare il pressing trovando l’imbucata giusta tra i reparti. Il punto è che certe squadre lo fanno in maniera codificata attraverso reticolati di passaggi in spazi stretti, angusti, contesti in cui servono calciatori brevilinei, sguscianti, che hanno la sensibilità tecnica che occorre in certe situazioni. Il Napoli di Spalletti, invece, ha la missione di esaltare elementi diversi. Come Lozano.

Esattamente come con – e per – Kvaratskhelia a sinistra, questo nuovo approccio cambia completamente i connotati del Napoli. È come se riscrivesse il codice genetico della squadra azzurra, almeno nelle ultimissime fasi dell’azione. Non a caso al Bentegodi, in alcune situazioni, ci sono stati passaggi e stop sbagliati anche elementari, errori di misura commessi dallo stesso Lozano, da Kvaratskhelia, da Osimhen. È la fotografia di questo nuovo progetto: pur di praticare un gioco più intenso e diretto quando c’è da rifinire e concludere la manovra, gli uomini di Spalletti sono pronti – cioè mentalizzati – a certi svarioni. Fanno parte del pacchetto, nel senso che sono una tassa da pagare per un gruppo che sta imparando un linguaggio tecnico-tattico diverso. E che in alcuni uomini ha dei limiti che compensano le nuove caratteristiche.

Osimhen, Lobotka, Kim Min-jae

Insomma, nel Napoli c’è meno tecnica pura rispetto al passato. Quindi c’è meno ricercatezza nel possesso, meno eleganza in alcune movenze, in alcune giocate. Allo stesso tempo, però, ci sono già più fisicità e più velocità nel muovere la palla. Questo non vuol dire che il gioco degli azzurri sia diventato meno tattico o più elementare. Per capire cosa intendiamo, basta guardare le prestazioni individuali di Osimhen, Lobotka e Kim Min-jae. Nell’ordine: il condottiero riconosciuto, il cervello e un aspirante uomo-simbolo del nuovo corso.

Il nigeriano, oltre al bel gol in acrobazia, ha variato molto il suo appoggio ai compagni, è venuto spesso indietro a legare i reparti piuttosto che aprire il campo offensivo allungando e allargando la difesa avversaria, come in occasione del gol di Zielinski – lo vedete sotto. Allo stesso modo, ha continuato a fare quello che sa fare meglio, in pratica ha tenuto costantemente sul chi va là i difensori del Verona, ha creato e attaccato spazi in profondità, è stato un’importante interlocuzione per i compagni anche senza toccare il pallone, come in occasione del gol di Lobotka. E la sua condizione, a scanso di equivoci, è ancora chiaramente precaria.

Legare centrocampo e attacco in transizione, secondo Victor Osimhen

A parte la rete, una giocata tecnica e tattica di altissima qualità, Lobotka ha fatto girare il Napoli in maniera autoritaria ma non dittatoriale: 66 tocchi di palla – meno di Anguissa, di Rrahmani, di Mário Rui – ma con una percentuale di precisione degli appoggi pari al 98%. Il dato più significativo riguarda la destinazione di questi passaggi: solo 6 su 51 sono stati direzionati verso il terzo di campo difensivo del Napoli; tutti gli altri sono andati in avanti, sono finiti a centrocampo o nella trequarti difensiva del Verona. La differenza con i vecchi pivote del Napoli nei vecchi 4-3-3 praticati dagli azzurri, in questo senso, è netta.

Chiudiamo con Kim Min-jae: questa analisi è essenzialmente tattica, quindi non avrebbe – non ha – ancora senso, alla prima giornata di campionato, parlare di come si sia ambientato nel sistema difensivo di Spalletti, del modo in cui spezza la linea per bloccare le azioni avversarie, della sua aggressività a volte addirittura estrema, della sua tendenza a portare palla in percussione. Ci limitiamo a sottolineare che il sudcoreano è stato il giocatore che ha giocato più palloni in assoluto nel Napoli, 94. Che, nonostante questa quota piuttosto alta, ha tenuto una percentuale di precisione negli appoggi del 91.5%. E che non si è trattato solo di passaggi elementari, considerando che ben 6 di questi sono stati a lunga gittata. Anche questi numeri sono dei segnali eloquenti del cambiamento già in atto.

Conclusioni

Nessun trionfalismo per questa vittoria. E il fatto che abbiamo aperto l’analisi raccontando la pochezza del Verona, in questo senso, deve fare da monito. Il punto è che il nuovo Napoli è davvero e finalmente nuovo, nel senso che è una squadra che sta finalmente definendo in autonomia, cioè senza farsi condizionare troppo dal suo vissuto, quale deve essere il suo nuovo percorso. La sua nuova fisionomia. Il suo nuovo destino. E si tratta di una definizione chiara, marcata e quindi visibile fin da subito.

Ovviamente non c’è alcuna garanzia che il nuovo ciclo possa portare risultati migliori rispetto a quello che si è evidentemente chiuso con gli addii di Insigne, Mertens, Koulibaly. Ma finalmente il Napoli ha ricominciato a scegliere, a disegnare un progetto senza deviazioni, senza compromessi storici con un passato che, in quanto tale, non aveva più ragione di essere. Il fatto che il mercato si sia svolto e si stia ancora svolgendo – Navas, Ndombélé, Raspadori, ma anche l’addio di Fabián Ruiz – in questi termini è un’ulteriore garanzia. Ma le notizie migliori sono arrivate dal campo, laddove Spalletti e i suoi uomini sembrano aver già voltato pagina. Anzi: hanno iniziato già a scrivere un nuovo libro. Il loro libro.

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