POSTA NAPOLISTA – Non saprà e non vorrà mai farsi ragione di una squadra che pianifica con avvedutezza per stare e restare nell’élite del calcio italiano
Non capirà mai nulla di Napoli chi cercherà di collegare le vicende della sua squadra di calcio alle aspirazioni della città e di chi la abita.
Eppure quest’associazione binaria, questa concatenazione di causa ed effetto, provano da sempre a dimostrarla in tanti, puntualmente in troppi: penne accorsate di intellettuali scafati nell’arte di prendere il polso al popolo, elzeviristi à la page, arrampicatori della colonna stampata rotti a qualsiasi gioco di porte girevoli per ritrovarsi nel salotto buono a dettare l’ordine del giorno. Ogni volta che la si inietta, quest’ossessione di descrivere le vicende della città e della sua squadra di calcio come un’osmosi virtuosa diventa moneta, successo, riconoscimento, credito: la voglia di riscatto della città e il mandato che ne deriva alla squadra di veicolarne la buona riuscita.
Come Curzio Malaparte scrisse ne La pelle, un libro da cui trasuda una passione vera e non da cartolina per la città, un libro cui non mancò neppure l’onore di attirarsi gli strali di Giovanni Ansaldo, primo direttore del Mattino uscito dal dopoguerra sconocchiato come la città, a Napoli è riuscito di sopravvivere al declino del mondo antico, come non è riuscito a città come Ilio, Ninive o Babilonia: viene fatto di credere che, diversamente da queste città, che sacrificarono il proprio sangue fino ad essere cancellate dalla storia, Napoli ha sempre desiderato vedere scorrere il sangue e insieme fare salvo il proprio.
Che cos’è mai, altrimenti, il miracolo di San Gennaro, se non l’occasione per ripetere tre volte all’anno, davanti alle maggiori autorità civili e religiose della città – parimenti genuflesse – che la massima aspirazione della città è vedere un grumo impietrito e dimenticato dalla storia sciogliersi in un liquido rosso, caldo e vitale? E che tanto basta a sfamarla, assecondarla, placarla, almeno fino alla prossima volta che pretenderà di ottenere ragione?
Napoli vuole vedere il sangue e come tale non saprà e non vorrà mai farsi ragione di una squadra che pianifica con avvedutezza per stare e restare nell’élite del calcio italiano, provando a prendersi delle soddisfazioni anche in Europa.
Solo a Diego riuscì di portare la squadra e la città in un sentimento identitario che non si ripeterà mai più e questo fu possibile per il lato oscuro di Diego, la sua insana passione a fare strame fuori dal campo del divino che mostrava in campo. Solo grazie a lui, per una sola ed unica volta, Napoli seppe essere uno con il Napoli: la voglia della città di vedere il sangue fu sfamata, assecondata, placata da un ragazzo divino che non riuscendo a trovare avversari intorno a sé, pretese di scovarli nel suo cono d’ombra. Proprio come la città, che oggi, dietro la devozione misticheggiante alla sua memoria, nasconde la brama indicibile di sentirsi legittimata a restare se stessa. Senza sussulti, né ripensamenti.
Pasquale Guadagni ilnapolista © riproduzione riservata