ilNapolista

Facciamo uno sforzo, impariamo a pronunciare Kvaratskhelia 

Rispettare un nome significa aprire la porta ad uno straniero senza ricoprirlo immediatamente del peso di doversi uniformare. Corriamo il rischio di passare per secchioni.

Facciamo uno sforzo, impariamo a pronunciare Kvaratskhelia 
Castel di Sangro (Aq) 03/07/2022 - amichevole / Napoli-Girona / foto Image Sport nella foto: esultanza gol Khvicha Kvaratskhelia

A questo punto sono passati ormai mesi ed è giunto da tempo il momento di piantarla con la storpiatura di un nome proprio. Nel duemilaventidue. In Europa.

Mi rendo conto che, visto lo stato del dibattito interno nell’Italia prossima alla elezione della propria mirabile diciannovesima legislatura, l’istanza è destinata a finire tra le ultime pagine delle notevoli agende politiche nazionali che ci è dato leggere in questi giorni, ma non è possibile continuare a manipolare i cognomi delle persone senza curarsi minimamente del messaggio che si veicola al prossimo e adoperando quella tipica pervicacia nostrana che ci ha autoconvinti che un tormentone idiota sia il lasciapassare per una brillante carriera di intrattenitore.

Si chiama Khvicha Kvaratskhelia. Ha avuto la buona educazione di trascrivere per noi il suo nome dal suo alfabeto di origine – adoperato da quasi otto milioni di persone nel mondo – a quello latino. Ci ha anche usato la cortesia di insegnarci la pronuncia in un video, come primo atto dovuto. Il che ci dice che, mentre lui ne conosce almeno due, noi di alfabeti ne mastichiamo al massimo uno.

Ora, capisco bene che ci siano ben altri problemi – pressanti, storici, fondamentali – cui città tifo e stampa devono concedere somma attenzione, così come capisco che solo la territorialità (sostantivo molto in auge, ultimamente) può far capire al mondo quanti e quali siano questi annosi problemi. Ma imparare a pronunciare una parola richiede al massimo quarantacinque, forse cinquanta secondi, ed è un atto dovuto se si ha minimamente a cuore la tanto celebrata inclusività di cui la cultura cittadina si bea, in un sublime atto di autocertificazione.

Il nome è l’identità di una persona e l’uso che se ne fa ha un potere enorme sugli individui – la storia e la geopolitica, persino di questi mesi, ci insegnano ancora una volta che conflitti piccoli e grandi nascono da assunti, più o meno arbitrari, che le persone e la politica fanno su lingue, fonemi, costruzioni lessicali, banali modi di dire. Rispettare un nome significa aprire la porta ad uno straniero senza ricoprirlo immediatamente del peso di doversi uniformare, senza fargli pendere immediatamente sul capo la spada di Damocle dell’obbligo asfissiante alla assimilazione, che è il contrario della società aperta.

Derubricare la questione a tipico caso di lana caprina, o alla solita farneticazione dei finti liberal del mondo, è una pura ipocrisia. La storia dei calciatori più rappresentativi degli ultimi anni, a Napoli, si è sviluppata attorno ai loro nomi – che si utilizzano, si sfruttano, si masticano, si infilano dappertutto. Che significano. Che hanno potere. E se forse, per il 77 azzurro, la pronuncia del suo cognome può essere un problema tutto sommato relativo, vista l’esposizione e la fama di cui gode, è importante ricordare che chi è più in vista può aiutare chi lo è meno, chi è più forte può agevolare chi non lo è. Impariamo che la prima domanda da fare ad uno straniero è: “Insegnami a pronunciare correttamente il tuo nome”. E lo sforzo che mettiamo nell’impegno ad aderire a questo insegnamento, ogni singola volta che proferiamo quel nome, è il rispetto, la curiosità, la comprensione che mostriamo dinanzi al prossimo – che, tutto sommato, qualche centinaio di chilometri di vita li ha dovuti fare per arrivare da noi, che nel frattempo eravamo seduti.

Vale la pena farlo, in un paese in cui, storicamente, chi compie il minimo sforzo di imparare una pronuncia diversa da quella insegnatagli da babbuccio e mammuccia, ai bei tempi della propria adorata infanzia, viene additato come secchione. E vale anche la pena ribadire quanto dovrebbe essere ovvio: ridere alla storpiatura, volontaria o meno, del nome di una persona, è da ripetenti.

ilnapolista © riproduzione riservata