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L’ossessiva rincorsa alla generazione Playstation da parte dell’industria calcio confusa e disperata

Non sanno che pesci prendere per “vendere” il prodotto ad una generazione che non se li fila per niente. Si inventeranno i rigori coi portieri legati al palo

L’ossessiva rincorsa alla generazione Playstation da parte dell’industria calcio confusa e disperata

“I vecchi poi muoiono”, dicevano i vecchi dirigenti Rai che s’affannavano a rincorrere il pubblico giovane come i capitoni nei vasconi dei pescivendoli la vigilia di Natale. Intanto, mentre i vecchi s’impegnano a non morire, i giovani si annoiano. Che magari non è nemmeno vero, però la percezione dei vecchi è quella: si scocciano, e come si fa? Dobbiamo inventarci qualcosa subito, prima che sia troppo tardi. La catastrofe incombe: dallo sbadiglio alla tossicodipendenza è un attimo. È un’ansia generazionale, tipica d’un tempo in cui la noia non era una malattia sociale. Ma è anche una patologia commerciale cui inesorabilmente il calcio – che è un “prodotto”, e ce lo rinfacciano come tale con una certa violenza quotidiana –  cerca di trovare un rimedio. Una cura. È diventato un tormentone: i “giovani” non resistono 90 minuti davanti ad una intera partita di pallone, serve qualcosa per “ingaggiarli”. Lo stesso verbo inglesizzato “ingaggiare” è sintomo di un’evidente incapacità di stare al mondo degli over-qualcosa, ma tant’è: i ragazzini che non ci si filano per niente vanno attratti, serve un’esca, un tranello, un biglia sbrilluccicante che li distolga dallo smartphone.

Attenzione, però: quelli sono bestie furbe, ci ammansiscono dandoci a intendere che con un formato diverso il calcio se lo guarderebbero pure. In realtà giocano alla Play, chattano, al limite recuperano gli highlights poi, se lo autoproducono il calcio. Non hanno mica bisogno di “sognare” come s’usava ai bei vecchi tempi. Però ce la siamo bevuta. E poiché il calcio si è autodichiarata industria, si sbatte per addentare quella succulenta fetta di mercato. Perché, appunto, “i vecchi puoi muoiono”, i giovani hanno tantissimo tempo da “consumatori” davanti a loro. Sono un investimento.

Solo che il calcio è un’industria goffa. E disperata. Non sa che pesci prendere, mentre i pesci migrano altrove. Dimentica d’essere uno sport, prima che un’impalcatura finanziaria, e quindi è pronto rivoluzionarsi, indossando alla bisogna mille travestimenti diversi pur di ingraziarsi nuovi bacini d’utenza. L’ultimo vertice dell’Ifab (l’ente supremo che governa i regolamenti del pallone) è diventato una fiera di paese, con tante “pazzielle” in bella mostra e pochissima sostanza. Però con un claim specifico, mandato a memoria da tutti i decisori: “Dobbiamo favorire il gioco d’attacco, la velocità. Perché altrimenti i giovani fanno altro”. Ed ecco quindi il tempo effettivo, le rimesse laterali coi piedi, il fuorigioco annacquato, i rigori coi portieri legati ad un palo. Seguiranno difensori con le gambe amputate, expected gol che fanno punteggio, gol da tre punti, e chissà cos’altro. Che ansia.

Il calcio sembra finito in Casa Cupiello, con Infantino, Wenger e Ceferin che continuano a chiedere ai Nennilli del 2022 se gli piace ‘o presepe. La risposta non è più quel plateale “no!”, ma un ammansito cenno col capo mentre fanno tutt’altro. E noi, disgraziati, ad elemosinare spiccioli della loro attenzione.

Come se poi – ed è quello il frainteso – fosse accertato che lo stimolo di cui hanno bisogno i “giovani” abbia per forza a che fare con la velocità, la consumazione espressa ed angosciante del tempo. Ragazzi nutriti a scintille continue dalla peggiore generazione di genitori della storia, poco o mai contraddetti nel loro sentirsi speciali, così asfissiati di cose da fare da non poter concepire un’esistenza a ritmi inferiori. E così il calcio si mostra in totale confusione: non una prospettiva, le prova tutte, vendendosi l’anima all’ultimo trend, un hashtag qualunque. Pensate se una tale crisi isterica se la facesse prendere il baseball, con la sua flemma istituzionale, le partite infinite, le birre e gli hot dog sugli spalti… “eh ma i giovani si annoiano, facciamo che un inning dura per forza 3 minuti senza recupero”. Sono scoppiate guerre per molto meno. Perché non è lo sport, la sua sostenibilità agonistica, la coerenza che ne determinano il fascino, no: sono le bizze – eventuali, supposte – di ragazzini che vogliono fare altro. Magari, anche soltanto annoiarsi in santa pace.

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