A La Repubblica: «Scrivo appunti a penna così sono certo di ritrovarli. Mai avuto paura, anche se riguardando gli incidenti mi dico che sono stato fortunato».
Su La Repubblica un’intervista al pilota Ferrari Charles Leclerc. Sei pole in 8 gran premi ma 2 soli successi, ora è 3° dietro le Red Bull di Verstappen e Perez. Due ritiri nelle ultime 3 gare, a Barcellona e Baku per problemi di affidabilità. A Montecarlo è passato dal 1° posto al 4° per un pasticcio di strategie. A Maranello si lavora al suo motore. Ma la sua convinzione resta immutata.
«Io non mollerò mai, questa è sempre stata la mia mentalità. Voglio diventare campione del mondo, ci crederò finché non sarà matematicamente più possibile».
Dice di aver fiducia nella squadra e nella possibilità che si risolvano i problemi tecnici.
«Io so bene cosa vuol dire e cosa si sente quando si vince, è una delle poche cose che mi danno una felicità così grande. È questo che ogni mattina mi spinge ad allenarmi. Quest’anno avremmo dovuto avere più successi di quelli che abbiamo per i motivi che conosciamo, ma sono sicuro che è solo una questione di tempo per tornare dove vogliamo essere».
Durante le prove libere scrive a penna nei quaderni.
«Scrivo tutto: i miei feeling sulla macchina e le cose che voglio provare in pista. Mi vengono tante idee così me le appunto per non dimenticarle. E le scrivo a penna così sono certo di ritrovarle, prima usavo una app sul tablet che spesso mi cancellava tutto».
Ha doppiato un personaggio nel film della Disney Pixar, Lightyear – La vera storia di Buzz. Nel film c’è un bacio tra due donne che ha creato polemiche.
«Per me l’omosessualità è una cosa completamente normale, ho amici gay, non capisco come oggi ci siano persone che non comprendono che l’amore è per tutti. La F1 deve dare una mano a chi non ha una voce così potente per esprimere le difficoltà nella vita di tutti i giorni».
Tra i tanti appellativi che gli hanno dato dice di preferire quello che gli diede il padre da piccolo.
«Quello che mi piace di più è quello che mi diede mio padre, pins à roulettes quando ho iniziato a correre, avevo 4-5 anni, ero tutto piccolo e si vedeva solo il casco grande».
La creatività serve anche per fare il pilota?
«Servono velocità, precisione, concentrazione. E coraggio. Prendiamo Gedda: pista molto veloce, muri vicini. Lì senti il rischio che stai prendendo ma devi andare e non pensarci, questo è quello che mi piace di questo sport. So che è pericoloso, ma a me piace giocare con i limiti».
Non ha mai avuto paura?
«No, mai, anche se riguardando gli incidenti mi dico che sono stato fortunato».