Braida: «C’è troppa generosità con i giovani. Giovane non mi dice niente. Conta se uno è bravo o no»

A Tuttosport: «Bisogna essere severi per stimolarli a fare meglio. Non bisogna dare loro un eccesso di responsabilità, altrimenti c’è meno entusiasmo»

Ariedo Braida

Tuttosport intervista Ariedo Braida, ex direttore generale e direttore sportivo del Milan e del Barcellona, da un anno e mezzo “consigliere strategico” della Cremonese promossa in Serie A. Parla dell’approccio del calcio verso i giovani e di come, secondo lui, andrebbero cresciuti.

«Molte volte dicono che devono giocare i giovani, devono “fare” i giovani… Ma io invece dico: devono fare coloro che sono capaci, coloro che hanno la competenza. Giovane non è sinonimo di bravura, giovane non mi dice niente. Conta se uno è bravo o no: io ero al Barcellona e c’era Ansu Fati, che a 16 anni ha iniziato a giocare in prima squadra. Ma perché era bravo, mica perché era giovane. Ibrahimovic perché gioca? Lo stesso motivo, perché è bravo».

Continua, parlando anche di Fagioli:

«C’è la tendenza, spesso, di parlare dei giovani cercando di essere eccessivamente generosi. Ma secondo me bisogna essere severi per stimolarli a fare meglio, sempre. Sono ragazzi… Parliamo di Fagioli, intanto, che ha talento naturale enorme. Ecco, la grande crescita la fa se lui il talento naturale lo mette a frutto in tutti gli aspetti, a 360 gradi. Non basta solo la qualità innata, occorrono anche la determinazione, la tenacia, la grinta: bisogna curare tutti questi aspetti anche se non fanno parte del proprio bagaglio. Bisogna lavorarci convintamente. Dunque, per lui, deve esserci un percorso. Cosa ha fatto? Un campionato di Serie B: molto buono. Ma deve proseguire questo percorso. Se lui alla Juventus ci arriva da titolare, giocherà titolare, ma se arriva da non titolare sarà ai margini e poi cosa lo attenderà? O va e sfonda immediatamente, oppure… Ecco, per me in questi casi regge l’esempio di salire una scalinata: meglio fare un gradino alla volta. Non bisogna dare un eccesso di responsabilità a questi ragazzi. Bisogna anzi fare in modo che giochino senza l’assillo. Altrimenti c’è meno entusiasmo e questo diventa un problema. Tutti abbiamo bisogno di un percorso».

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