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Lo scalpore per l’ultimo “primo” calciatore gay, sono tornati i rabdomanti di giocatori omosessuali

Daniels è il “primo” inglese, come Cavallo era il “primo” in attività. Fashanu fu il “primo” e basta. Nel frattempo li indicizziamo manco fossero evasori fiscali

Lo scalpore per l’ultimo “primo” calciatore gay, sono tornati i rabdomanti di giocatori omosessuali
Milano - corteo gay pride / foto Andrea Ninni/Image nella foto: corteo gay pride

Jake Daniels è “il primo” calciatore inglese in attività a fare coming out. Ed è l’ultimo di altri “primi” (la solitudine dei numeri primi è una balla): l’australiano Cavallo, o il precursore Fashanu. La categorizzazione del primato è importante, perché giustifica il titolo. Il “secondo” gay del calcio, capirete, che noia.

E quindi ci risiamo. Con cadenza disarmante spunta l’intervista ad un ex calciatore, un allenatore, un insider qualunque che “rivela” al mondo attonito l’esistenza degli omosessuali nel calcio. E’ giornalismo a scatto fisso: il titolo stuzzica la prurigine del cavernicolo, l’idea che qualcuno davvero ancora se ne stupisca. D’altronde, si sa, gli spogliatoi sono abitati solo da veri maschi. E’ la riproduzione sistematica della stessa identica “notizia” dal 1990 – l’anno a cui si fa risalire il primo vero scandalo: il coming out forzato di Fashanu con annesso dramma.

Daniels ha replicato la solfa: “Voglio essere un modello, fonte di ispirazione”. Ha 17 anni, è comprensibile. Ma in generale il lettore medio sbadiglia e sfoglia oltre. Poiché nel frattempo il mondo ha questo vizio di evolvere, e il pallone di rotolargli appresso sempre in ritardo.

E’ una macchina a ciclo continuo, perché Daniels “ricicla” Cavallo, che passa a commentatore: qualche mese dopo lo intervisti di nuovo, come si fa per i richiami dei vaccini, per documentare il fatto che sia sopravvissuto. A quel punto però il sistema è avviato e non si torna più indietro. Ci sono almeno due o tre gay in ogni squadra, dicono tutti. Si fa la conta. È una serie: Football Gay Hunters. Rabdomanti di omosessuali, nell’edizione italiana.

La stampa si dà di gomito: anche oggi abbiamo portato a casa il titolo. Perché la presenza nel mondo del pallone del sesso porta con sé, senza possibilità di redenzione, la morbosità. E fa niente che il solo fatto di ribadire il concetto espliciti un giudizio: i gay in uno spogliatoio frequentato solo da maschi? Non è normale. Se lo fosse non ci sarebbe niente da “svelare”, e a ricasco non ci sarebbe l’intervista, la notizia, il titolo.

Il sottinteso è sempre il peccato. Come se il fatto di essere attratti fisicamente dallo stesso sesso fosse una deviazione opaca. Per cui, una volta assodata la loro esistenza in natura, i calciatori gay vanno indicizzati, contati, manco fossero evasori fiscali.

Diceva qualche tempo fa Evra, che “nel calcio non puoi mostrare debolezze, non puoi mostrare differenze, altrimenti sembri vulnerabile. C’è una mascolinità tossica. Soprattutto perché il vocabolario della guerra viene costantemente utilizzato, confrontando le partite con le battaglie”.

Ma se rileggete bene l’assunto capirete anche perché è parte del problema: i gay non vanno in guerra? Non sono adatti a combattere, sono troppo “femminucce”? Il calcio usa ancora un vestito tribale, zeppo di penose resistenze anche nella sua narrazione. Nel 2022 c’è ancora gente che blatera di “attributi” perché dire “palle” no, è scortese. È lo stesso tranello mentale: la misura della forza è un testicolo, e i gay – a quanto pare – ne sarebbero sprovvisti… 

Lo scalpore con cui il coming out del giovane Daniels si prende le home page dei giornali ha a che fare con un’arretratezza pigra. Inseguiamo la segnalazione, l’avvistamento, il “primato”, dichiarando irreparabilmente di ritenerli ancora animali rari in ambiente ostile.

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