ilNapolista

«Tua madre fa la puttana?». Benvenuti al draft NFL dove il capitalismo sceglie la merce senza pietà

Lì decidono i club, non i giocatori che invece sono sottoposti al terzo grado. Un ex giocatore allo Zeit: “Se non rispondevo, gli allenatori mi insultavano»

«Tua madre fa la puttana?». Benvenuti al draft NFL dove il capitalismo sceglie la merce senza pietà
Mast Miami (Florida,USA) 07/02/2010 - Super Bowl 2010 / Indianapolis Colts-New Orleans Saints / foto UPI/Masterphoto/Image Sport nella foto: Pierre Thomas ONLY ITALY

Nella notte italiana si è tenuto a Las Vegas il primo giro Draft dell’NFL, il momento in cui le squadre del football americano Usa si accaparrano le migliori “scelte” tra i giocatori più promettenti che ancora non fanno parte della più importante e ricca lega del mondo. Per la cronaca: il defensive end Travon Walker è stato prima scelta assoluta, di Jacksonville, Philadelphia ha preso grazie ad uno scambio il fortissimo ricevitore AJ Brown.

E’ un mondo che per noi drogati del calciomercato è assurdo. A differenza del calcio europeo, dove i giocatori decidono in quale club andare, nel football è il contrario: i club hanno il potere punto e basta, scelgono i loro giocatori che gli piaccia o no. Colin Kaepernick – uno che per essersi inginocchiato contro il razzismo ha perso il posto e non l’ha più ritrovato – ha descritto il processo di scelta come “una moderna tratta degli schiavi“.

Sebastian Vollmer, ex giocatore tedesco scelto al secondo giro del 2009 dai New England Patriots di Tom Brady, coi quali ha vinto due Superbowl, ci ha scritto persino un libro. E allo Zeit ha raccontato una trafila dell’orrore per essere assunti. Il contrasto con le coccole di cui godono i calciatori è affascinante. 

“Le squadre vogliono sapere chi sei fino all’ultimo dettaglio”, dice Vollmer. Oltre ai test fisici, massacranti, ci sono i colloqui. “Due coach di una squadra mi hanno spiegato il loro playbook velocemente. È un libro davvero pesante, di centinaia di pagine. Dopo di che mi hanno interrogato”, dice Vollmer. “Ma nessuno potrebbe impararlo così in fretta. Quando non rispondevo, gli allenatori hanno preso a insultarmi. All’epoca era sorpreso da questo comportamento ma poi ho capito. Hanno testato come reagisco sotto stress. Se sbagli la mossa decisiva e Tom Brady finisce a terra dopo, allora nessuno sarà amichevole con te”. Insomma, non è che sbagli una costruzione da dietro che forse ti costa il campionato, gli altri ti proteggono. Nel football americano ti mangiano vivo.

Dopo il Pro Day, Vollmer è stato invitato alle cosiddette “visite” di 14 team. La sua gamba è stata radiografata 14 volte e la sua schiena è stata radiografata con una risonanza magnetica. “Avevo gli esami sempre con me e non volevo farmene tutti i giorni ma le squadre volevano fare solo i loro test”.

Il weekend del draft è drastico. Chi viene scelto “vince” un contratto milionario. Chi resta fuori, è fuori e basta. Non esiste la seconda lega o il settore amatoriale.

Nella NFL tutte le squadre hanno quasi gli stessi requisiti. C’è un tetto salariale, il numero di giocatori per franchigia è fisso e il processo di selezione segue regole rigide. Chi raccoglie le informazioni più accurate e più dettagliate sui talenti può trovare i migliori giocatori.

“Hanno davvero rivoltato ogni sassolino”, racconta Vollmer. Un squadra aveva chiamato il responsabile del dormitorio del suo college per sapere quanto spesso andava alle feste. Anche i controlli in background dell’FBI sono comuni.

Rick Spielman, direttore generale di lunga data dei Minnesota Vikings, ha recentemente rivelato nel podcast di The Athletic di aver una squadra di 95 persone che si occupa solo di scandagliare il “mercato” dei talenti. Anche loro sono sotto pressione. Se un Draft va storta, perdono il lavoro.

Ad alcuni giocatori è stato chiesto se sono gay o se le loro madri sono prostitute. Le squadre spesso vogliono vedere come reagiscono i giocatori sotto pressione, con un brutale squilibrio di potere. Da un lato i membri della squadra, per lo più bianchi, per lo più benestanti o milionari. D’altra parte, giovani giocatori a cui non è mai stato permesso di guadagnare soldi al college, e che si stanno giocando la carriera e il futuro.

In definitiva è un duro processo di selezione capitalistica. I giocatori sono visti esclusivamente come un investimento e, in un certo senso, come una merce”.

ilnapolista © riproduzione riservata