ilNapolista

Ancora troppi equivoci, il Napoli di Spalletti decida cosa vuole fare da grande

Calcio liquido o sistemico? Gioco proattivo o reattivo? Orizzontale o verticale? Con la sua chiara identità, la Fiorentina ha vinto sul campo non mentalmente

Ancora troppi equivoci, il Napoli di Spalletti decida cosa vuole fare da grande
Napoli 10/04/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Fiorentina / foto Image Sport nella foto: Victor Osimhen-Igor

Una vittoria (sconfitta) tattica, di campo

Napoli-Fiorentina 2-3 non può, non deve essere ricordata come il frutto di un crollo mentale ed emotivo, da parte degli uomini di Spalletti. Tutt’altro. La Fiorentina, infatti, ha giocato e vinto la partita sul campo. E in maniera anche abbastanza netta, per la verità. Basta un dato, il più semplice e scontato, per rilevare i meriti della squadra di Italiano: Terracciano ha dovuto compiere un solo intervento – peraltro semplicissimo – in tutta la partita, su Insigne al minuto 8′. Negli altri 90 minuti di gioco, considerando anche il recupero, il Napoli ha tirato in porta solamente due volte, ovvero in occasione dei due gol.

Il dato della Fiorentina (4 conclusioni nello specchio) non è molto superiore, solo che i viola hanno sempre trovato il modo per fare uscire il pallone in maniera pulita dalla propria area, insomma davano l’impressione di essere padroni del proprio destino. E infatti hanno subito la partita e gli avversari solo quando Lozano e Mertens hanno aumentato l’intensità e la carica emotiva del Napoli. Quel momento è durato pochissimo, però: trovando di nuovo i corridoi giusti per far uscire il pallone della difesa, e sfruttando ancora il mismatch tra Mário Rui e Nico González, la Fiorentina si è ripresa il vantaggio e la partita. E l’ha condotta in porto con relativa tranquillità, grazie alla sua identità, alle caratteristiche dei suoi uomini. Alle connessioni studiate, pensate, intuite nel corso della partita da Vincenzo Italiano.

Il ritorno del 4-2-3-1 (anche se un po’ più fluido)

Cominciamo dalle scelte tattiche e di formazione dei due allenatori: Spalletti, privo di Anguissa, ha disegnato sul campo un 4-2-3-1/4-4-2 piuttosto fluido, con Zielinski a fare da uomo-cuneo tra il ruolo di sottopunta e quello di mezzala del 4-3-3. È stato un ritorno al passato per il Napoli, dopo diverse partite giocate con Lobotka nel ruolo di pivote e due mezzali pure. Di contro, Italiano ha confermato il sistema di gioco della sua squadra nonostante le assenze di Odriozola, Torreira e Bonaventura. Per sostituirli, cambi semplici ruolo su ruolo: Venuti, Amrabat e Duncan.

In alto, il 4-2-3-1 del Napoli in fase di costruzione; sopra, invece, il 4-4-2 in fase difensiva, con Osimhen e Zielinski in pressing sui due centrali della Fiorentina.

L’idea di Spalletti era semplice e ambiziosa: Zielinski avrebbe dovuto pressare alto, in parallelo con Osimhen, sulla costruzione dal basso dei due centrali, mentre Lobotka sarebbe andato a prendere fino alla sua area di rigore Amrabat. In fase offensiva, la posizione più avanzata avrebbe permesso a Zielinski di offrire una linea di passaggio in più tra le linee degli avversari, anche se in realtà spesso il triangolo di centrocampo risultava rovesciato, con un giocatore davanti alla difesa (più spesso Lobotka, a volte anche Fabián Ruiz) e due interni. In virtù di tutto questo, si può dire che il cambio di modulo di Spalletti sia stato pensato e attuato in chiave difensiva più che offensiva. Il problema è che ha funzionato soltanto all’inizio, ovvero fino a quando la Fiorentina non ha iniziato a lavorare il pallone con qualità, precisione, sfruttando i meccanismi ormai tipici del calcio di Italiano.

In alto, il Napoli opera un buon pressing sulla costruzione bassa della Fiorentina, sempre con il tandem Osimhen-Zielinski e il supporto di Lobotka; sopra, invece, il video del gol della Fiorentina

Il gol della Fiorentina è un saggio di costruzione dal basso in chiave moderna, contemporanea. Spesso si fa confusione, si tende a pensare che partire dal basso voglia dire muovere il pallone tra portiere e difensori, e basta. In realtà questo è solo l’inizio: perché, come si vede chiaramente in questa azione, la squadra di Italiano effettivamente fa viaggiare la sfera tra Terracciano e i suoi compagni di reparto, ma lo fa per attirare, per chiamare il pressing del Napoli – sempre disposto con il 4-4-2 in fase passiva. A quel punto, poi, prova e trova la traccia in verticale, prima su Cabral e poi su Duncan.

A quel punto il sistema difensivo di Spalletti è disordinato: Lobotka non riesce a rientrare in tempo a presidio dello spazio centrale, così il centrocampista ghanese ha lo spazio necessario per trovare Cabral, a sua volta smarcato, appena davanti a sé. Da lì in poi, il castello del Napoli cade come le tessere di domino messe in piedi una accanto all’altra. Fino al cross di Biraghi, mentre in area ci sono cinque (!) giocatori della Fiorentina.

Fermare il Napoli, giocando

Come successo – piuttosto puntualmente – in altre partite giocate al San Paolo contro squadre di possesso, il Napoli non è stato limitato solo attraverso un sistema esasperatamente difensivo. Anzi, il vero problema della squadra di Spalletti, in certe gare, è esattamente opposto: quando gli avversari tendono a tenere palla, e sanno cosa farsene, gli azzurri si smarriscono. Perdono la padronanza di sé stessi, quindi della gara. I dati, in questo caso, accompagnano e certificano questa sensazione: nel primo quarto d’ora, in cui sembrava che il Napoli avesse trovato le chiavi giuste per schiacciare la Fiorentina nella sua metà campo ed essere anche pericoloso, il possesso palla degli azzurri è stato del 56%; nella mezz’ora successiva, il la rilevazione si è esattamente ribaltata: possesso favorevole alla Fiorentina per il 57%.

La Fiorentina, dunque, si è messa a giocare a calcio con pazienza e qualità. Così ha mandato a vuoto il pressing del Napoli, così ha tenuto palla e così ha creato le sue occasioni. Come detto, non tantissime: oltre al gol di González, la squadra di Italiano ha tirato solo un’altra volta nello specchio difeso da Ospina, con Biraghi; le altre conclusioni tentate dai viola sono arrivate tutte dopo il 15esimo minuto, e tutte al termine di azioni manovrate. Altri due dati che dimostrano come Italiano abbia vinto la sfida tattica contro Spalletti.

In alto, le posizioni medie di Napoli e Fiorentina riferite al primo tempo della partita di ieri; sopra, Insigne e Politano larghissimi in campo e quindi piuttosto distanti da Osimhen.

Anche perché il Napoli ha finito per chiudersi nel suo solito imbuto-equivoco offensivo: dopo l’inizio a buoni ritmi, gli azzurri hanno finito per chiudersi letteralmente sulle fasce, soprattutto quella sinistra, non a caso il 41% delle azioni sono nate da quella fascia; la larghezza media sul campo è stata di 40 metri, e in questo modo gli esterni – come si vede chiaramente dagli screen appena sopra – hanno fatto una fatica bestiale a ricevere il pallone lontano dalla fascia. Addirittura, Politano è riuscito a toccare solo 5 palloni nella metà campo avversaria. Per tutto il resto del primo tempo ha dovuto seguire Biraghi e coprire sui giochi a tre tra il terzino della Fiorentina, Saponara e la mezzala di parte.

Dopo la sfuriata del primi minuti, che ha portato a 2 conclusioni pericolose da parte degli azzurri, il Napoli è stata una squadra a dir poco sterile. L’unica occasione vera è stata quella di Mário Rui, trovato a tu per tu con Terracciano da un lancio di Koulibaly. In realtà la traiettoria del pallone lanciato in verticale del difensore senegalese è stata calcolata male da Venuti, quindi la chance capitata al terzino portoghese è stata un caso.

Anche perché lo strumento del lancio lungo è stato utilizzato spesso dai giocatori di Spalletti, solo che l’esito non è stato quello atteso: dei 26 tentativi, solo uno ha creato effettivamente un’occasione. Tutti gli altri sono stati assorbiti benissimo dalla difesa viola, bravissima a non concedere profondità aggredendo in avanti, cercando anche il contatto fisico con i giocatori del Napoli. Da questo punto di vista, i duelli tra Igor e Osimhen – costantemente vinti dal difensore della Fiorentina – sono stati una fotografia chiara della partita.

Lozano e poi Mertens: una scossa emotiva

Era inevitabile che Spalletti cercasse di dare una scossa al Napoli. Che lo facesse subito dopo l’intervallo. Ci ha provato con l’ingresso di Lozano, ovvero inserendo un un esterno d’attacco che potesse supportare davvero Osimhen, attaccare la profondità con lui, stargli più vicino rispetto a quanto sappia fare Politano. Il messicano è stato subito intraprendente, il Napoli è diventato subito più vivace: 4 tiri verso la porta di Terracciano e Fiorentina schiacciata nella sua metà campo (0 conclusioni, possesso palla al 36%) fino all’ingresso di Mertens.

Facendo entrare il belga, Spalletti ha fatto una scelta di petto, emotiva più che tattica. Il 4-2-3-1 è diventato puro se non tendente al 4-2-4, uno dei pochi palloni verticali giocati in maniera precisa ha trovato Osimhen solo contro un difensore, e accanto a lui c’erano due giocatori a rimorchio: Mertens, appunto e anche Lozano. È così che è maturato un pareggio meritato solo alla luce del forcing prodotto nei primi 15 minuti della ripresa. E di una serie di correttivi fin troppo elementari, e rischiosi, portati da Spalletti.

I 17 palloni giocati da Dries Mertens

Come si vede chiaramente nello screen appena sopra, l’idea (anche riuscita) di Spalletti era quella di inserire Mertens per farlo giocare come sottopunta, come elemento di connessione tra Osimhen e il resto della squadra. In pratica, il tecnico del Napoli voleva ripetere quanto avvenuto in occasione della gara contro l’Udinese, giocata tre settimane fa. Il punto, però, è che la Fiorentina non è l’Udinese. La squadra di Italiano ha più qualità, ha una rosa più profonda. Ha un’identità radicata, fondata su un gioco sempre proattivo, mai d’attesa.

In virtù di tutto questo, ha ciò che serve per sfruttare i bug – permanenti, momentanei – dei suoi avversari. Quello del nuovo Napoli disegnato da Spalletti era la tendenza a restare lungo e alto sul campo, data la presenza contemporanea di Zielinski, Lozano, Mertens, Insigne, Osimhen. Un dato su tutti, a supporto: nella ripresa, la squadra di Spalletti ha tenuto il baricentro a 60 metri, ben oltre la metà campo, oltre 6 metri più in alto rispetto al primo tempo. La Fiorentina ha sfruttato proprio questo aspetto, anche grazie ai cambi: piuttosto che abbassarsi per cercare di assorbire la pressione offensiva del Napoli, ha tenuto tre attaccanti in campo – di cui uno fresco: Ikoné – e ha continuato a insistere sul duello tra González e Mário Rui.

Da un lancio lungo e da un contatto fisico gestito male dal terzino portoghese, è nata l’azione del secondo gol della Fiorentina, con quattro uomini in area di rigore al momento del cross di González. Pochi minuti dopo, è arrivato il gol che ha chiuso definitivamente la partita. Ed è nell’azione dell’1-3, per quanto personale e nata in maniera casuale, che si sono manifestati e percepiti i problemi tattici del Napoli nella versione iper-offensiva della ripresa.

Il (bel) gol di Cabral

È ovvio che questo gol nasca dal primo controllo sbagliato di Rrahmani, da un passaggio sicuro che non è stato effettuato e da un dribbling di troppo che è diventato un pallone perso. Il fatto che però nessun calciatore del Napoli non riesca a chiudere velocemente su Cabral, e che l’attaccante della Fiorentina si trovi a dover affrontare un solo calciatore, tra l’altro fisicamente inferiore a lui come Lobotka, è un chiaro segnale di scompenso. O meglio: Spalletti ha fatto una scelta, ha deciso di provare a recuperare il risultato con uno schieramento e un atteggiamento molto offensivi. La Fiorentina, da parte sua, ha resistito all’assalto (solo) emotivo degli azzurri e ha ricominciato a giocare come nel primo tempo, anche grazie alla freschezza dei giocatori che sono entrati dalla panchina. E così ha vinto la partita, per la seconda volta.

La Fiorentina prima della Fiorentina

Il gol di Osimhen che ha illuso il Napoli e i suoi tifosi ha reso meno rotonda una sconfitta meritata. E forse ha alimentato anche un po’ di rimpianto per l’incapacità da parte degli azzurri, manifestatasi lungo tutta la partita, di azionare davvero il centravanti nigeriano. In realtà, come detto in altri punti di questa analisi, la squadra di Spalletti ha anche tentato di risalire il campo velocemente, di sfruttare i continui movimenti ad allungare e ad allargare il fronte offensivo del suo centravanti. Solo che questi lanci lunghi, questi passaggi in verticale, sono stati fatti male. E, soprattutto nel primo tempo, hanno trovato un attaccante troppo isolato.

Dall’altra parte del campo, invece, la Fiorentina ha offerto una prestazione davvero ammirevole. Per sofisticatezza di gioco, per prestazioni individuali, per capacità di leggere e comprendere i momenti della partita. Italiano ha deciso o che il di giocarsi la partita contro Osimhen senza snaturare la sua difesa, accettando il duello praticamente individuale tra Osimhen e Igor, rischiando sempre di uscire in costruzione bassa, ma anche verticalizzando il gioco appena possibile. Una scelta coraggiosa, ma che alla fine ha pagato. Proprio come quelle fatte da molte altre squadre che sono venute al San Paolo per giocarsi la partita, con le proprie armi, con le proprie idee: Atalanta, Empoli, Spezia, Milan, ma anche Verona e Inter – che non hanno vinto, ma hanno comunque strappato un pareggio.

Conclusioni

È evidente che, in certe partite, il Napoli accusi un problema tattico. Che Spalletti non sia ancora riuscito a trovare un equilibrio tra il Napoli del passato e il Napoli del presente. Che questo equivoco si manifesti in maniera più ingombrante quando gli azzurri non possono giocare in modo reattivo, quando devono scegliere come vincere la partita. Un’esigenza che, inevitabilmente, diventa più incalzante quando si gioca allo stadio Maradona.

Ormai siamo a fine stagione, quindi sarà difficile che il Napoli possa improvvisamente imparare a essere una squadra più efficace e più versatile, più rapida nel capire come risolvere partite complicate contro squadre come la Fiorentina. Anzi, in realtà Spalletti ha già fatto un grande lavoro in questo senso, visto che la sua squadra ha ancora la possibilità di vincere il titolo. Il tecnico e la società, in ogni caso, dovranno riflettere su come assortire e programmare meglio la rosa per la prossima stagione. Perché non è più tempo di equivoci, di scelte sospese a metà, di non-scelte. Bisognerà decidere tra calcio liquido e sistemico, tra gioco proattivo e reattivo, tra orizzontalità e verticalità. Il rischio, altrimenti, è che le squadre più identitarie possano fare come la Fiorentina di Italiano: venire a Napoli e vincere, portandosi a casa anche la sfida tattica.

ilnapolista © riproduzione riservata