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«Il ciclismo è cambiato. Cadi nel fosso a 70 all’ora e nessuno ti soccorre, ho pensato di rimanere lì»

Su L’Equipe l’intervista a Bardet caduto con Alaphilippe alla Liegi: “Quasi non respirava, io gridavo ma gli altri andavano. Una volta esistevano patti tra gentiluomini»

«Il ciclismo è cambiato. Cadi nel fosso a 70 all’ora e nessuno ti soccorre, ho pensato di rimanere lì»

Romain Bardet domenica ha visto Alaphilippe cadere giù, in uno strapiombo, e poi restare lì, in crisi respiratoria ai piedi di un albero che il due volte iridato aveva appena colpito violentemente, lanciato a più di 70km/h. Mentre la Liegi-Bastogne-Liegi andava avanti. Ha un vuoto di 5 secondi, non ricorda cosa è successo quando il gruppo gli è esploso alle spalle. Ma ne parla con L’Equipe che dedica al “ciclismo estremo” le prime quattro pagine del giornale. La descrizione del pericolo incombente e poi manifesto dei ciclisti-fionda di oggi è da brividi. Bardet ne parla “con suo figlio Angus (2 anni) seduto in grembo”, ancora sotto shock.

“Ci sono sempre state cadute in bicicletta, ma questa è stata particolarmente violenta. È ancora difficile per me parlarne. Era una scena di caos. Ricordo il rumore dei caschi che sbattono contro l’asfalto, poi le grida di dolore di tutti i ragazzi a terra… Quando cadi a questa velocità, con i dischi che tagliano come rasoi, è la roulette russa. La mia paura, in questo tipo di situazione, è di prendermi un disco sulla gola. Non controlli nulla una volta che sei coinvolto in questo caos”.

Quando uno cade davanti, a più di 50 all’ora, tra le prime tre o quattro file, tutti ci rotolano sopra, lo colpiscono. Domenica eravamo oltre i 70 all’ora, la strada non era buona. Ho avuto l’impressione di essere in una discesa di una località dove c’era stato gelo per tutto l’inverno. C’erano molti buchi. Su un rivestimento perfetto, avremmo potuto passare senza incidenti. Era il momento della gara in cui tutto andava in direzione del dramma. Sentivo che la tensione stava crescendo da tempo. Era pericoloso già a cento chilometri dal traguardo, ma in quel momento la gara non si era ancora accesa, tutti erano freschi e lucidi. Dopo la sequenza Wanne-Stockeu-Haute-Levée, invece, il gruppo si è rotto. Poi si è riformato come sempre in cima alla Haute-Levée, sulla strada principale, e la caduta è arrivata cinque o sei tornanti più avanti perché alcuni ragazzi un po’ al limite sono arrivati da dietro pensando che fosse la loro ultima possibilità, che se non fossero passati in testa al Col du Rosier, sarebbero rimasti fuori. Quindi tutti insieme, e voilà… In una frenata, in una frazione di secondo, i mesi di preparazione si riducono a zero”.

Bardet dice che è “emotivamente traumatico” il fatto che non ricorda niente: “Non so nemmeno se e dove sono caduto. So di essere stato dietro Tom Pidcock e Jérémy Cabot, stavo cercando di mantenere un piccolo margine di sicurezza su di loro, ho sentito l’onda arrivare. Ho avuto il tempo di frenare, di dirmi che era finita, la mia stagione era finita e da lì non ricordo più niente. Nell’immagine successiva ci sono io nel fosso con Julian Alaphilippe. Non sapevo nemmeno dove fosse finita la mia bici in quel momento. So di essere stato colpito da dietro, credo di essere caduto, ma non ho ferite addosso, non lo so, non ricordo. Mi mancano quattro-cinque secondi. Ho visto Julian, davvero in cattive condizioni. Riusciva a malapena a respirare, senza a parlare, senza muoversi. E lì ho avuto un lampo, l’impressione di essere stato l’unico a vederlo soffrire, mentre la corsa continuava, senza badarci. Le moto sono ripartite, anche le macchine, e io lì, nel fosso, a urlare da solo nel vuoto, senza nessuno che mi sentisse. È stata un’angoscia immensa. Pensavo che sarei rimasto lì, solo, per sempre. Sono tornato in strada e per poco non venivo investito da un direttore sportivo completamente pazzo. A volte, l’umanità… (sospira). Sembravano prenderla come se fosse stata una cosa normale, come se la corsa avesse la precedenza su tutto il resto. Quasi mi meraviglio che non sorridessero e si dicessero ‘un avversario in meno’. Sto esagerando, eh, ma ai loro occhi era un incidente come un altro. Non esistono regole stabilite, ma esiste una decenza“.

“L’ultima volta che ho visto una caduta così violenta, è stato con William Bonnet al Tour 2015 e fermarono la gara. Non puoi farlo ogni volta che cade qualcuno, ne sono consapevole: ma è a livello di comportamento individuale che le cose devono cambiare. A volte devi sapere accettare il tuo piazzamento in gara. Lo dico io che non sono irreprensibile, eh. È una gara, c’è impegno, non tutto è pulito. Ma c’è un limite da trovare e mi rendo conto che questo limite si sta spostando sempre più verso l’estremo“.

“Abbiamo bici così veloci che se sei davvero incollato alla ruota di quello che sta davanti, difficilmente pedali. Con i freni a disco, puoi frenare all’ultimo momento. Solo che il tempo di reazione umano, non ha tenuto il passo con l’evoluzione tecnologica, eh, è ​​sempre lo stesso di prima. Tutto è spinto all’estremo, tutto si è livellato, i membri di ogni squadra sono sempre più forti, si va sempre più veloci. Molti si permettono di dire: ‘beh, posso andare un po’ oltre il limite e frenare all’ultimo momento. Di conseguenza, il margine di errore che avevamo prima, non esiste più. E io mi sento impotente di fronte a questa cosa”.

Si vedono davvero cose mai viste prima. Fino a qualche anno fa esistevano patti tra gentiluomini. Ora tutti si intrufolano in mezzo a tutti. Alcuni sono pronti a tutto pur di passare”.

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