Pogba: «Sono stato depresso, è iniziato con Mourinho. Se non sei corazzato, nel calcio sei morto»
A Le Figaro: «Non è che perché guadagniamo un sacco di soldi dobbiamo essere per forza sempre felici. Non siamo supereroi, siamo esseri umani».

Mg Torino 07/10/2021 - Uefa Nations League / Belgio-Francia / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Palu Pogba
Su Le Figaro una lunga intervista a Paul Pogba. Parla della differenza del suo rendimento tra Nazionale e Manchester United.
«In Nazionale gioco di più, il sistema è diverso rispetto al club. In realtà, è semplice, in Nazionale gioco, e inoltre, gioco nel mio ruolo. Conosco il mio ruolo, sento la fiducia dell’allenatore, dei giocatori. È normale, sentire questa differenza con Manchester, perché è difficile essere regolari quando cambi posizioni, sistemi di gioco o partner spesso. Al Manchester United ho davvero un ruolo? Mi faccio la domanda e non trovo la risposta».
Commenta le parole di Thierry Henry, che recentemente ha dichiarato che non si parla abbastanza della salute mentale dei giocatori. Gli chiedono se sia un argomento tabù nel mondo del calcio.
«Sono completamente d’accordo con lui. Il calcio è lo sport collettivo più individuale, siamo giudicati ogni tre giorni, dobbiamo essere bravi tutto il tempo, mentre abbiamo preoccupazioni come tutti gli altri, sia con i nostri compagni che con il nostro allenatore, nella vita di tutti i giorni. Inevitabilmente lo avverti nel corpo, nella testa, e puoi avere un mese, anche un anno, che non stai bene. Ma non si deve dire, in ogni caso non pubblicamente. È tutto nella testa, la mente controlla tutto e tutti i migliori atleti attraversano questi momenti, ma pochi ne parlano. Vi faccio un esempio: Kylian Mbappé quando ha sbagliato il suo rigore contro la Svizzera. Nessuno ha pensato a lui dopo, mentre ha ricevuto tonnellate di critiche, cose brutte dette su di lui. Se non sei mentalmente corazzato, sei morto, in questo sport. Queste prove ti forgiano, ma non devi lasciarti andare».
Racconta di aver provato sulla sua pelle la depressione.
«Completamente, e più volte nella mia carriera. L’ho conosciuta, ma non ne ho mai parlato. A volte non sai di essere depresso, vuoi solo isolarti, restare da solo, questi sono segni che non ingannano. A titolo personale, è iniziata quando ero con José Mourinho a Manchester. Ti fai domande, ti chiedi se hai colpe, perché non hai mai vissuto questi momenti nella tua vita».
Come si fa a fronteggiare una situazione del genere?
«Mi concentro sulla mia famiglia, i miei amici e il desiderio di vincere partite o fare progressi non mi abbandona, nonostante tutto. Non voglio che i momenti negativi mi facciano dimenticare tutti i miei successi, ma non è facile. E, quando non posso riuscirci da solo, parlo molto con Patrice Evra, ex giocatori che hanno vissuto questo, perché ti capiranno subito. Il mio strizzacervelli può essere il mio migliore amico, mia moglie o mio figlio. Parlare, essere ascoltati, tirar fuori tutta questa rabbia e depressione che ti sta divorando, è obbligatorio per me».
Il pubblico capirebbe il tuo stato d’animo pensando al tuo stipendio?
«Certo, guadagniamo un sacco di soldi e non ci lamentiamo, davvero, ma questo non ci impedisce di attraversare momenti, come tutti gli altri in una vita, più difficili di altri. Perché si guadagnano soldi, si deve sempre essere felice? La vita non è così. Ma, nel calcio, questo non passa, non siamo supereroi, ma solo esseri umani».