Verratti: «Non m’importa chi segna, il mio scopo è far giocare bene la squadra, darle serenità»

A L’Equipe: «Non penso mai a perdere la palla, anche se può succedere. Si arriva alla vittoria insieme, ognuno deve fare la sua parte. Un buon passaggio è come un buon dribbling»

Verratti calciomercato

Roma 20/06/2021 - Euro 2020 / Italia-Galles / foto Uefa/Image Sport nella foto: Marco Verratti

Il centrocampista del Psg e della Nazionale italiana, Marco Verratti, si racconta in un’intervista a L’Equipe. Dice di seguire il calcio in tv anche quando non gioca.

«Guardo tutto. Io, quando parlo con giocatori che non guardano le partite, non capisco come fanno».

A volte riguarda anche le sue partite.

Parla del ruolo di centrocampista.

«Non gioco per segnare, gioco per far giocare bene la squadra. Ma, nel calcio di oggi, per fare cinque, sei, sette gol a stagione… Dipende anche da in quale squadra giochi. A Parigi, con Mbappe, Neymar, Messi, Di Maria, che segnano tanto, si vede meno. In una squadra come la Juventus, ad esempio, i gol dei difensori o dei centrocampisti pagano molto. Perché non hanno gli attaccanti che segnano quaranta gol».

Continua:

«Mi sento a mio agio, è così che vedo il calcio. Non voglio mai colpire una palla solo per calciarla, non sapendo dove andrà. Se mi tiro dietro due o tre avversari, significa che libero anche uno o due compagni di squadra. Voglio fare il passaggio per innescare un’azione. Mi piace. So che a volte è pericoloso. Perdere una palla in area può esporre la mia squadra a un pericolo, ma dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Se siamo qui, è perché abbiamo talento, qualità che gli altri non hanno. Questo è sempre stato il mio modo di giocare e non lo cambierò mai. Anche se subiamo un gol dopo aver perso la palla».

Non ha mai paura di perdere palla.

«Non penso mai a perdere la palla, anche se può succedere. Ho fiducia in me stesso, gioco a calcio per divertirmi prima di tutto. E questo è il mio piacere. Gli attaccanti pensano al gol, io penso a far giocare la squadra nel modo più bello possibile. E’ il mio gioco. Ogni volta che scendo in campo, penso solo al bel gioco. Perché giocando bene, hai più possibilità di ottenere un buon risultato».

Racconta i suoi progressi.

«Prima tenevo la palla molto più di adesso. Ora mi sento meglio quando devo tenerla e sentire la pressione dell’avversario prima di fare un passaggio che lo metterà fuori gioco. Un buon passaggio è come un buon dribbling. Con l’esperienza, ho imparato a sentire quando tenere la palla e quando lasciarla andare. A volte la gente pensa che io sia pazzo, ma è una cosa che viene da sola, è naturale. Penso che siamo nati per giocare a calcio. Non ho qualità fisiche da “genio”, non posso competere in velocità con giocatori che, quando fanno un passo, per recuperarli devo farne tre, ma riesco comunque a passare davanti a loro, a saltare sulla palla davanti a loro».

Sull’importanza di aver iniziato a giocare per strada da piccolo:

«Ho iniziato a giocare per strada all’età di quattro anni con gli amici e penso che si impara molto di più in queste condizioni. Sono momenti che rimangono nella nostra testa per sempre. Dopo, dipende anche da come sei. Sono per natura uno che sorride e gioco sempre a calcio con un sorriso. A quarant’anni continuerò a giocare con i miei amici».

Il gusto per il rischio lo ha sempre avuto, fin dall’inizio della carriera. Al Porto, gli ricordano, in Champions League, nel 2012 (0-1), ha fatto impazzire Carlo Ancelotti nel vederlo perdere una palla.

«Questo è il problema che ho avuto con quasi tutti gli allenatori. Ancelotti, all’inizio, mi prendeva da parte e diceva: “Marco, per favore, quando ti beccano, chiudi gli occhi e spara la palla il più lontano possibile”. Poi, più tardi, mi disse: “Beh, Marco, fai quello che vuoi perché so che è il tuo gioco. O ti lascio in panchina o ti prendo come sei, perché non cambierai mai“».

Per Verratti il calcio è soprattutto una questione di squadra.

«Ma provo piacere nel vedere il calcio come uno sport di squadra. Non mi interessa chi segna. Arriviamo alla vittoria insieme e ognuno deve mettere la sua piccola pietra per raggiungerla. Il mio obiettivo principale è far giocare bene la squadra, darle tranquillità, fare sforzi per i miei compagni e recuperare palle».

Parla dei problemi fisici con cui ha dovuto combattere.

«Quando sono arrivato a Parigi, ho avuto parecchi problemi fisici. Ho iniziato nei professionisti, a Pescara, in allenamento, quando avevo 14 anni. Facevo lo stesso lavoro dei ragazzi trentenni. Non ero fisicamente addestrato. Ero ancora più piccolo di quello che sono ora. Ma facevo gli stessi esercizi degli adulti. Il mio corpo ha sofferto. E quando sono arrivato a Parigi, ho avuto dolori ovunque. Nelle mie prime tre stagioni al Psg, ho avuto problemi a dormire tanto il dolore. Durante questi tre anni, ho giocato, giocato e giocato, a volte con farmaci antinfiammatori, fino a quando non è arrivata la prima operazione per pubalgia. Dopo, ci fu un momento in cui mi sentivo molto bene».

In campo non ha un buon rapporto con gli arbitri, almeno quando indossa la maglia del Psg.

«Non mi sono mai macchiato di azioni brutte contro altri giocatori. Perché quando un arbitro sbaglia, non ammette di aver sbagliato?».

Ed aggiunge:

«Ho un rapporto normale con gli arbitri della Champions League o con quelli che dirigono partite internazionali, con i quali posso discutere di tutto e di più. Con un arbitro francese, ancora oggi, non posso farlo».

 

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