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Míchel: «Maradona giocava con la paura di deludere le aspettative»

A El Pais racconta il suo addio al Real: abbandonò il campo il giorno dello scudetto. “Mi sentivo come se stessi per morire, ero in pace, me ne dovevo andare”

Míchel: «Maradona giocava con la paura di deludere le aspettative»

L’11 giugno 1989, Martín del Campo Míchel – per tutti Míchel e basta – lasciò il Santiago Bernabéu, mentre 100.000 spettatori pronti a festeggiare la vittoria del campionato del Real Madrid si chiedevano che stesse succedendo: mancavano 3 minuti alla fine del primo tempo, Míchel aveva 26 anni ed era uno dei leader di quella squadra. Semplicemente se ne andò. Rientrato negli spogliatoi “avevo una sensazione vicina a quella che avrò il giorno della mia morte. Ero in pace. Era  il momento di andare. Ho chiesto a un impiegato del club di dire a mia moglie di scendere: ‘Dille che ora ce ne andiamo’. Ho lasciato lo spogliatoio quando è arrivata la squadra a festeggiare il campionato. Quella sera c’è stata la cena e una festa, ma quando sono tornato a casa sono andato a letto e ho chiesto di non essere disturbato.

Míchel racconta in una bella intervista a El Pais che non ne poteva più di essere fischiato per un passaggio sbagliato mentre ad altri era permesso tutto. Il presidente Mendoza quando lo chiamò per capire, gli disse “Certo hai le palle a lasciare così il Bernabéu”.

Parliamo di Míchel, il quinto membro della Quinta del Buitre – Míchel, Sanchís, Martín Vázquez, Pardeza e Butragueño – un gruppo di giocatori dell’accademia del Real dotati di una tecnica eccezionale che ha rivoluzionato il calcio spagnolo negli anni ’80. “Non eravamo famosi, eravamo popolari. Il famoso è temporaneo e il popolare è senza tempo. Le persone si ricordano di noi perché siamo cresciuti con loro in molte cose. Eravamo esattamente come loro, tranne che in campo. Certo, era un altro modo di intendere il calcio, ma nella Spagna degli anni Ottanta e Novanta c’erano molteplici modi di intendere le cose, dalla musica alla letteratura, dalla politica al calcio. C’è stata un’esplosione di creatività”.

Parla anche di Maradona:

“Ho giocato contro di lui quando era al Napoli, al Siviglia, in Argentina. E sono stato sfortunato, o bravo, perché non l’ho mai visto bene in quelle partite. Mi è sempre sembrato un nostalgico di un’altra epoca che aveva paura di deludere, quella gigantesca aspettativa che aveva di essere quello che era“. “Quando ero un commentatore per la televisione spagnola l’ho ritrovato in una finale a Istanbul. Non riusciva nemmeno a muoversi: ‘Diego’ qui, ‘Diego’ là. Non volevo disturbarlo, ne aveva abbastanza. Ma lui mi ha visto ed è venuto a darmi un abbraccio che era come quando il Re ti abbracciava, che dovevi tenere le braccia ferme perché il protocollo ordinava che non potevi abbracciarlo”.

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