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Il calcio ha già prosciugato quasi 2 miliardi concessi allo sport, ma non basta: pretende i “ristori”

E’ ripartita la questua, il settore pieno di debiti tace l’infinito elenco di deroghe e aiuti che il governo gli ha concesso: ora vuole il cash

Il calcio ha già prosciugato quasi 2 miliardi concessi allo sport, ma non basta: pretende i “ristori”
Db Milano 02/12/2019 - Gran Gala' del Calcio Aic 2019 / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gabriele Gravina

I ristori. “Dovuti”. Dice Gravina che “non può accadere che non arrivino”. Tanto che Malagò ha scritto a Vezzali, per metterci un’ulteriore buona parola. La litania è diventata un sottofondo, come in quelle case con la vecchia zia che sgranava rosari ogni quarto d’ora, a bassa voce e qualche sussulto al Gloria Padre. Il calcio sta passando tra i banchi della messa politica col “panariello” della questua, solo che stavolta s’è impuntato, resta impalato lì e non schioda fino a quando non avrà ciò che gli spetta.

Gravina esplicita il mantra: “Il calcio traina l’economia”. E ora che per un paio di weekend ci hanno concesso (se la vendono così) la restrizione della capienza degli stadi a 5.000 persone, pretendono il saldo che gli è stato promesso: soldi pubblici, cash.

Pure Paolo Dal Pino aveva scritto la settimana scorsa alla sottosegretaria (la Vezzali deve mettere un filtro alle mail) rivendicando per cantilena la contrapposizione di principio con altri settori: “la palese disparità di trattamento – parole del presidente della Lega – rispetto al settore della cultura e dello spettacolo”. Facendo finta di ignorare che proprio il cinema è uno di quei comparti devastati dalla pandemia: le sale hanno chiuso a marzo 2020 e hanno riaperto a maggio 2021.

Gravina meriterebbe due risposte sul merito. La prima, lunghissima, sul “calcio che traina l’economia”. Ma ci limitiamo a sottolineare un dato: nel 2019 il calcio italiano aveva un monte record di debiti di 4 miliardi e 661 milioni. Nel 2019 il Covid non esisteva. Alla seconda però ci teniamo: l’unica cosa che l’industria del pallone non ha ottenuto sono i “ristori”. Ma nel frattempo ha consumato praticamente tutti i fondi previsti nel Decreto Sostegni Bis. Agli altri sport, tipo basket e pallavolo, sono rimbalzate le briciole.

L’elenco di prebende-aiuti-concessioni-deroghe che lo Stato italiano ha dato più o meno direttamente anche al calcio in perenne elemosina è corposo. Il governo ha rifinanziato il Fondo unico per il sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche, ha prorogato fino a tutto il 2021 il credito di imposta per le sponsorizzazioni. Gli hanno cancellato la seconda rata Imu. Hanno prorogato la presentazione del modello 770, la cassa integrazione e il parziale esonero dai contributi previdenziali. Gli hanno concesso il credito d’imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda. Sport e Salute ha distribuito più di 1 miliardo su circa 197.000 collaboratori sportivi, beneficiari di paracadute fino a 1.600 euro (per chi percepiva compensi tra i 4 mila e i 10 mila euro). Il fondo perduto per le associazioni e le società sportive dilettantistiche è passato da 50 a 180 milioni di euro.

Il calcio però vive su un pianeta tutto suo, gli altri sono satelliti che non gli appartengono. Questa cosa di dover spartire è allucinante. Per cui, alla resa dei conti, la manovra finanziaria pubblica in favore dello sport da quasi 2 miliardi di euro, ai vari Gravina e Dal Pino non basta. I club di serie A che per Gravina “meritano almeno la stessa dignità di cinema e teatro” hanno un valore di produzione inferiore ai 100 milioni di euro. Non hanno goduto di “ristori” propriamente detti, ma hanno messo in conto allo Stato pure i tamponi.

Li avranno, i ristori, perché è vero: in un contesto del genere “non può accadere che non arrivino”. E’ la rovina fisiologica del sistema.

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