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In attesa della Nazionale a Belfast, non ci restano che i Maneskin

Sono loro, per ora, l’unica Nazionale che vince. Noi alla viglia del solito psicodramma, della solita partita da vincere

In attesa della Nazionale a Belfast, non ci restano che i Maneskin
Rotterdam (Olanda) 22/05/2021 - Eurovision / foto Imago/Image nella foto: Meneskin

Siete fuori di testa, e siete fuori di testa. Qui, Belfast. La nazionale italiana geme. Il solito psicodramma. La solita partita “da vincere” per guadagnare un posto in Qatar, Mondiale 2022. Altrimenti, fuori, scaraventati nei play-off, una vergogna per una squadra campione d’Europa. Però campione d’Europa da fermo. Su calcio di rigore. In semifinale e finale.

E, invece, come suggeriscono i dotti del calcio, stasera bisogna correre e picchiare. Contro gli irlandesi del nord che hanno nulla a pretendere, ma hanno sangue irlandese e cercheranno di metterlo nella gagliarda difesa di una porta inviolata nei tre match di qualificazione mondiale a Belfast.

Non mi restano che i Maneskin, l’unica nazionale vincente. Ho troppi anni per capirli. Non so se cantano in attacco o in difesa, all’italiana, se strimpellano il 4-4-2, se hanno il quinto di destra o l’urlo a sinistra, se hanno il colpo di tacco o il do di petto.

Zitti e buoni. E buonasera signori e signori, fuori gli attori vi conviene toccarvi i coglioni. A Belfast. I Maneskin, l’ombelico di Victoria De Angelis, gli occhi cerchiati di Damiano David, il broncio sexy di Thomas Raggi, i lunghi capelli di Ethan Torchio che lo fanno somigliare a Demi Moore, una nazionale che spiazza e vince, da X Factor, a Sanremo, in Eurovisione, a Las Vegas, Budapest, una nazionale “best rock”.

Quanto è best rock la nazionale di Mancini che ieri ci illuse, che oggi ci illude, Donnarumma? Ascolta. Piove sui rigori falliti, piove su le caviglie salmastre a arse di Barella, piove su quel pino scaglioso e irto di Leonardo Bonucci, sulle occasioni sfuggenti delle partite più ardenti, su i capelli folti di Tonali, su Frattamaggiore e Insigne, sugli uomini di Chiesa, di Emerson Palmieri a distesa, piove sui nostri battimani esausti.

Belfast. I ponti di Belfast, il fiume Lagan, le colline di Gulliver, il Titanic di Belfast qui costruito e imbalsamato in un museo, il gaelico di Belfast, il lino e le corde di Belfast. Segnali nefasti il Titanic e le corde.

I Maneskin. I’m beggin’, beggin’ you. Sono in ginocchio mentre sto implorando perché non voglio perdere. A Belfast. Fate gol, implora la penisola patriottica di pallone, la penisola campione del mondo ai rigori a Berlino e il ministro Melandri festosa nello spogliatoio azzurro, e faccela vede’, e faccela vede’. Vedessimo almeno la porta a Belfast.

Improvvisamente siamo senza centravanti e attaccheremo il castello nord-irlandese con tre soldatini, cinque metri e ventuno centimetri d’attacco, Insigne 1,63, Chiesa 1,75 e Berardi 1,83 un gigante rispetto ai primi due. Inutile fare cross. Abbiamo un finto nove. Giocheremo per finta? Non è solo questo. Tirare da fuori area, c’è chi tira da fuori area? Ci danno un rigore e che cosa facciamo, lo rifiutiamo per eleganza occidentale?

La velocità, bisogna essere veloci. Palla e ventre a terra. L’altra dimensione. Con le facce sì ma di sudore. I Maneskin. Zitti e buoni. “Scusa ma ci credo tanto che posso fare questo salto e anche se la strada è in salita per questo si sono allenati”. Gli azzurri. I Maneskin. Belfast. Gulliver. Il Titanic. Il fiume Lagan. E George Best che non c’è più dopo avere dribblato l’intero mondo.

Forza Italia, squadra di dolore ostello.

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