Il figlio Franco al Giornale: «Non avrebbe sopportato la filosofia di mister come Lippi e Sacchi. È morto a 73 anni come un ragazzino di ritorno dalla discoteca»

Il Giornale intervista Franco Brera, figlio del mitico Gianni. Ha appena pubblicato un libro dedicato al padre: “Mai paura. Gianni Brera dalla A alla Z e oltre”, edito da Cinquesensi.
Brera aveva soprannominato Giuseppe Meazza “Fòlber”, il figlio racconta perché.
«Era tra le elaborazioni dialettali più care a papà. Il “fòlber“ si giocava sui sabbioni del Po a piedi nudi. Le partite erano senza soluzione di continuità, dall’alba alla notte. È sinonimo di «football», ma con una venatura “padana“».
Nel libro Franco Brera sostiene che la morte ha «salvato» suo padre da mister come Lippi e Sacchi. Spiega perché lo afferma.
«La filosofia calcistica di questi allenatori era profondamente diversa da quella di Brera. Il talento estroso dei fuoriclasse ingabbiato nell’aridità degli schemi non faceva per Gianni».
Del Var che cosa avrebbe detto?
«Papà era convinto che l’errore arbitrale facesse parte del gioco. Ma alla fine si sarebbe adeguato. A malavoglia».
Non si sarebbe invece mai rassegnato al divieto di fumo.
«No. A quello no. Per lui fumare era una dimostrazione di vitalità. Credo che, paradossalmente, fosse convinto che il fumo facesse bene. Del resto, non se n’è andato certo per colpa del fumo. È morto, a 73 anni. Ma come un ragazzino di ritorno dalla discoteca».
Racconta il padre come imbattibile alla macchina da scrivere ma soprattutto con un carisma eccezionale quando parlava. E dei ricordi per la sua morte, privi di qualsiasi accenno di cattiveria da parte di chiunque, dice:
«Non c’è stata una virgola ostile, non abbiamo trovato altro che parole di affetto e amicizia, anche negli articoli dei colleghi più critici verso le concezioni sportive di Giovanni. Solo riflessioni, come quando muore uno buono e giusto».
Sul carattere di Gianni:
«Aveva un carattere ruvido. A volte non capiva che certi suoi atteggiamenti potevano lasciare il segno, ma non era un uomo portato a cattiverie e rancori».
Quando, a volte, ci andava giù pesante, continua,
«era come se dicesse al tempo stesso: io sono un maestro delle parole, ma non devi offenderti per le mie parole. A volte era come se dicesse: “Ti voglio bene, stronzo!“».
Elenca i principi basilari del comportamento secondo Gianni Brera:
«L’onestà innanzitutto. Le tasse si pagano. I debiti si saldano subito. La parola si mantiene o non si dà. L’invidia serve a spingerci a migliorare nell’emulazione dei migliori. Siamo al mondo per servire gli altri attraverso il nostro lavoro».