Barnes: «Io calciavo le banane dal campo, ma il calcio è l’industria meno razzista»
L'attaccante inglese, icona dell'antirazzismo, al Guardian: "Sono passati 30 anni e non cambia niente. Ma in quale settore succede che calciatori mediocri di colore guadagnino più dei bianchi?"

Quando gli inglesi parlano di razzismo e pallone, ricorre un’immagine iconica: John Barnes che di destro, “abile e sprezzante”, che calcia una banana fuori dal campo in un derby del Merseyside, anno 1988. Un gesto che fece storia. Sono passati più di trenta anni e in apertura del Guardian c’è ancora lui, a parlare ancora di razzismo e pallone.
Barnes ci ha scritto un libro, sul tema: The Uncomfortable Truth about Racism. Ed è uno dei pochissimi che quando affronta l’argomento lo fa in profondità: parla di schiavitù, colonialismo e di come la razza resti una questione incredibilmente problematica, al centro della società contemporanea.
“Ho giocato a calcio in Inghilterra dal 1981, quando le banane venivano lanciate in campo ogni giorno. Quando ero al Watford l’avevo già fatto contro il Millwall e il West Ham, ma quelle non erano partite di alto profilo, quindi la stampa ci aveva fatto caso. Ma Liverpool-Everton era un’altra cosa”, ricorda.
“Per quanto le persone possano concentrarsi su quel momento come qualcosa di unico o iconico, non lo è stato. Cyrille Regis (attaccante che ha giocato per il West Brom e altri club dal 1977 al 1996) ha detto che potrebbe aprire un fruttivendolo con tutte le banane che sono arrivate in campo. Non significava proprio niente per me”.
Barnes, che a 20 anni segnò un gol strepitoso al Maracanã dribblando mezza difesa del Brasile ricorda che sul volo verso Rio c’erano dietro di lui alcuni sostenitori del Fronte Nazionale, pagati per andare a tifare l’Inghilterra in trasferta. “Vedemmo la bandiera del Fronte Nazionale esposta al Maracanã. Tutti i giornalisti di calcio erano sull’aereo e nessuno disse una parola”.
Il razzismo all’epoca era così. E oggi non è molto diverso.
“Si parla molto ogni volta che c’è un ‘incidente razziale’ ma nulla cambia davvero. Dicono ‘è terribile. Dobbiamo fare qualcosa’ e non succede niente”.
“Dobbiamo parlarne in modo educativo. Parliamo di educazione di lungo periodo. Sono stato a partite di calcio in cui urlano abusi razziali e se gli vai a chiedere conto in faccia ti rispondono ‘Oh, no, Barnesy, stavo solo scherzando’. È lo stesso oggi su Twitter”.
“Alle persone di colore succede ogni singolo giorno della loro vita. Ci sono bucce di banana invisibili e parole non dette che sono molto più dannose, nella società di tutti i giorni”.
Il dibattito in Italia è sul lasciare il campo, fermarsi. Il Napoli, dopo le offese a Koulibaly ha già annunciato che lo farà.
“Un autista di autobus non ha la possibilità di scendere dall’autobus e dire: ‘Basta non lo sopporto’. Finirebbe senza lavoro e scoprirebbe che a nessuno importa di lui”.
Barnes anzi rilancia:
“Quando giocavo io dovevi essere superiore alla media per essere ingaggiato. Ora ci sono un sacco di normali giocatori di colore che guadagnano soldi incredibili. Ecco perché il calcio è probabilmente l’industria meno razzista. In quale altro settore ciò accade?”.