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Viva il filosofo Mourinho a capo dei reazionari del calcio: «Per me divertirsi è vincere»

Squarcia anni di oscurantismo in cui hanno provato a trasformare il calcio in ginnastica. Volevano togliere i gol e introdurre i voti per l’estetica, all’insegna della volpe e l’uva

Viva il filosofo Mourinho a capo dei reazionari del calcio: «Per me divertirsi è vincere»
Db Barcellona (Spagna) 28/04/2010 - Champions League / Barcellona-Inter / foto Daniele Buffa/Image sport nella foto: Jose' Mourinho-Zlatan Ibrahimovic-Josep Guardiola

Sono stati anni terribili. Di oscurantismo puro. E ancora li stiamo vivendo. Anni in cui una forte corrente d’opinione – chiamiamola così – ha provato a trasformare il calcio nella ginnastica. Con i giudici pronti a dare i voti. È stato un tentativo insurrezionale, eversivo, spacciato per movimento della bellezza. È stata, ed è, l’ennesima forma riveduta e corretta de La volpe e l’uva. Non riesco a vincere le partite? Provo a cambiare il regolamento, a forzare culturalmente l’idea stessa del calcio mettendone in dubbio il principio sacro e cioè che un gol equivale a un punto.

Abbiamo vissuto anni dolorosi. Come si faceva per strada: tre calci d’angolo, un rigore. C’è mancato poco che provassero a dire: se finisce la partita col 70% di possesso palla, hai diritto a un gol in omaggio. Col fiocco, come al luna park.

È stato un fiorire di gente in tv dire: «il mio calcio». Frase che in una fase reazionaria degna di questo nome, dovrebbe condurre a pene severissime. «Abbiamo costretto il Real Madrid a buttare il pallone in fallo laterale» disse un allenatore che moltissimo ha cavalcato questo movimento insurrezionale. Come se buttare la palla in fallo laterale fosse un’onta, oppure decretasse un calcio di rigore contro. Uno butta la palla in fallo laterale e magari dopo ti segna anche tre gol. Come peraltro accadde. Non contò il risultato, contò la bellezza. Di andare a casa.

Non riuscendo a vincere, a cogliere l’uva, si è provato a disdegnare la vittoria. “Ah no, io se devo vincere buttando la palla avanti, preferisco perdere”. E bravo. Il movimento a Napoli è stato dilagante. Come se noi durante gli anni di Maradona avessimo praticato un calcio basato sul pressing e il possesso palla. Ma la memoria non esiste. Questa idea di calcio, il nuovo calcio, era ed è perfetta per Napoli che si autoproclama la città più bella, interessante e romantica del mondo. E non si discute, o il giudice fa sgomberare l’aula. Piripicchio è figlio di Uragano e Apocalisse. Ma il movimento è andato ben oltre Napoli.

Per anni, abbiamo avuto il solo Massimiliano Allegri – spacciato per un incompetente – a sostenere la bandiera del calcio tradizionale. A difendere l’idea che il gol vale ancora uno, che i ragazzini devono essere liberi di esprimere il loro talento e non ingabbiati in schemi geometrici. Ma Allegri, per quanto bravino mediaticamente, ha i suoi limiti. Il principale dei quali è la sua juventinità. È poco credibile di default. Fu bravo nella citazione ippica del corto muso. Ma Allegri non è un filosofo. È stato messo in croce per la frase – sacrosanta – “se vuoi divertirti, vai al circo”.

È anche una questione di charme. Allegri non è José Mourinho. Che va in televisione dopo aver battuto 5-1 i bulgari del Cska Sofia, dice che non è soddisfatto, ma soprattutto racconta che lui si diverte solo se vince. Racconta:

L’altro giorno in allenamento chiamavo il tempo che mancava alla fine della partitella. Un minuto, 45 secondi. Un giocatore della squadra che stava vincendo, è uscito dal campo per prendere il pallone. Gli ho chiesto “che stai facendo?”, lui mi ha risposto che voleva divertirsi. E io gli ho detto “divertirsi è vincere, non essere stronzo”. Questo tipo di messaggio deve passare ed è importante soprattutto per i giovani che devono imparare la mia filosofia. Magari sono fatto male, ma per me divertirsi è vincere”

Liberaci dal male, José. Vincere vuol dire superare gli ostacoli che ti si parano innanzi. Vincere vuol dire dannarsi per trovare la soluzione. Vincere è sinonimo di intelligenza. Perché l’intelligenza non è altro che la capacità di adattamento, di capire in quale situazione ti sei cacciato e come cavare il meglio da lì. Diego Armando Maradona è stato quello che è stato perché era programmato per vincere. Aveva quello in testa. Ha sempre pensato di dover dare tutto sé stesso per primeggiare. Non si è mai messo a dire – e lui avrebbe potuto, ah quanto avrebbe potuto – “voglio divertirmi, perché il calcio è spettacolo”. Il calcio, così come qualsiasi altra disciplina della vita, è andare a sbattere, dannarsi, pensare di non farcela, trovare una strada, impegnarsi, lottare, dare tutto per l’obiettivo. Con la paura che ti scoppi il cuore.

Vincere vuol dire mettersi in gioco. Dire “il mio calcio” è l’esatto contrario, è un atteggiamento icaresco, è il narcisismo elevato a stile di vita. È il classico “io sono fatto così”. Eh, amico mio, e sei fatto male. Hanno portato l’ideologia sui campo di calcio.

Il filosofo Mourinho è tornato per distribuire ossigeno. E noi siamo qui a ringraziarlo.

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