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La tensione stritola Djokovic. Lezione di vita a Flushing Meadows, il tennis c’entra poco

Si è reso irriconoscibile il giorno in cui la vittoria lo avrebbe consacrato il tennista più forte della storia. Un dramma teatrale più che una partita di tennis

La tensione stritola Djokovic. Lezione di vita a Flushing Meadows, il tennis c’entra poco
Tokyo (Giappone) 31/07/2021 - Tennis / Olimpiadi Tokyo 2020 / foto Imago/Image Sport nella foto: Novak Djokovic

Che cos’è lo sport. Dove ti porta la tensione. In universi insondati persino per fuoriclasse conclamati come Djokovic. Perché anche quando sei un fuoriclasse, ti si parano davanti obiettivi che presentano complessità sconosciute. Lo sport è meraviglioso perché rassomiglia alla vita. È questo il motivo per cui il tifo accecante e accecato è un intruso per chi davvero ama lo sport, per chi ha lo sguardo e la pazienza di osservare una varietà di comportamenti da far impallidire Konrad Lorenz.

Fu così che Novak Djokovic si è reso irriconoscibile il giorno della finale degli Us Open. Ha perso in tre set la partita che lo avrebbe consacrato come il più forte tennista della storia. Anche Rod Laver vinse il Grande Slam – i quattro tornei più importanti nello stesso anno – ma negli anni Sessanta. Farlo negli anni Duemila è considerato più complesso.

Fatto sta che Djokovic, l’imbattibile Djokovic, il cyborg Djokovic, si è sciolto come un professionista alle prime armi, disabituato ad affrontare la tensione. Come un Napoli-Verona qualsiasi, per capirci.

Dopo aver vinto, dominato, gli Australian Open, Parigi, Wimbledon, ha giocato da comparsa nella finale più importante della sua carriera. Non è riuscito a organizzare uno straccio di piano B nei confronti del suo avversario: Medvedev, peraltro un signor giocatore, numero due del mondo. Ha frantumato una racchetta. Ha commesso errori da principiante. Si è lanciato a rete come se fosse un giocatore di volo, così almeno non si sarebbe del tutto avvilito ad assistere alla sua controfigura sbagliare tutti quei punti da fondo campo.

Djokovic ha perso. Perché ha avuto paura. Perché non ha retto la tensione. Perché non ha ritrovato quel tennista che ha costruito giorno dopo giorno. Perché si è ritrovato in una dimensione persino a lui sconosciuta. Evidentemente non era pronto per diventare il più forte tennista di tutti i tempi. Non lo hanno salvato nemmeno le titubanze dell’avversario in prossimità del filo di lana. Quando anche il numero due del mondo infila doppi falli come nemmeno un tennista della domenica. Davanti all’ignoto siamo tutti uguali, quelli che sanno giocare il top spin d’anticipo e quelli che giocano a due all’ora.

È stata una lezione di vita più che una partita di tennis. È la magnificenza dello sport. Peccato che il pubblico non sia stato all’altezza. Non ha capito che stava assistendo a un dramma teatrale, non a un rodeo.

Per gli addetti alle statistiche, è finita 64 64 64.

 

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