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Anche Nadal si ferma. E’ arrivato il momento di ammettere che il tennis di Federer-Nadal è finito

Entrambi non riescono a dire “ritiro”, eppure la caduta degli dei è fisiologica e sotto gli occhi di tutti. Resta tutto in mano a Djokovic, sarà sua l’ultima parola

Anche Nadal si ferma. E’ arrivato il momento di ammettere che il tennis di Federer-Nadal è finito
Londra (Inghilterra) 10/07/2019 - Wimbledon / foto Panoramic/ Insidefoto/Image Sport nella foto: Rafael Nadal ONLY ITALY

Lo scarto dell’età è una convenzione relativa che nel tennis si riduce spesso alla rilettura delle cartelle cliniche. Non è tanto la carta d’identità a definire la tua fine in gloria o in depressione, quanto invece un ginocchio, un tendine, un metatarso. Se non la semplice voglia di bersi un drink in più a bordo piscina. Una volta – inciso – il tennis era uno sport di goderecci, ora nel circuito sopravvive solo la loro versione isterica: Benoit Paire e Nick Kyrgios. Questo per premettere che quando a 40 anni Roger Federer va in video per annunciare che dovrà operarsi di nuovo, e che resterà fuori per un numero imprecisato di mesi, fa tanto la figura di Fonzie che non riesce a dire “scusa”: la sua parola impronunciabile è “ritiro”. E noi, per logica inversa, abbiamo il buon cuore di non rinfacciargli la sua vecchiaia sportiva.

Per dare un senso metrico alla questione: Pete Sampras compie 50 anni, ne ha solo 10 in più, ma essendosi ritirato nel 2002 (l’avevano già inventata l’internet nel 2002? E la tv a colori?) dopo aver battuto nella finale degli US Open Andre Agassi, ce lo siamo appuntati mentalmente in una casa di riposo. Quei due sono geologicamente quasi coetanei, eppure.

E così oggi Rafa Nadal annuncia che anche lui è costretto a fermarsi, che salterà gli US Open e anche il resto della stagione: ci rivediamo nel 2022. Perché Nadal, altrettanto, non se lo sogna nemmeno di darci un taglio. In quanto dio dell’agonismo in terra Nadal procede come ha sempre fatto: si cura, si fa il mazzo, torna, vince. Seguendo un percorso ad oltranza quasi sovrannaturale. Il passo successivo, che riguarda la nostra incapacità di elaborare per tempo i lutti, è che gli crediamo sulla parola: non è finita amico, raccontaci ancora di questa deformazione dello scafoide del tarso, è dal 2005 che ce l’hai, dopo 15 anni di solette ad hoc mica vorremo arrenderci ora?

Eppure la sensazione di fondo resta come un sedimento su un paio di generazioni abbondanti di seguaci del tennis. L’idea nauseabonda di doverci abituare ad un gioco senza Federer e Nadal. Che sono un brand biunivoco, rappresentando yin e yang della stessa amabile retorica, con tutto ciò che ne è conseguito per più di un ventennio fino alla scontata “caduta degli dei” in futura programmazione. Aderenti, siamesi nella loro unicità. Assieme, pare adesso, ci abbandonano piano piano. Facendoci fessi come si fa coi bambini all’asilo: papà resta qua, non se ne va, tranquillo.

E invece l’unico che resta qua è il terzo spesso incomodo: Djokovic. Il più resistente (qui ci stava un “resiliente” ma abbiamo una dignità) e poco più giovane dei tre, la via di mezzo, la sintesi estrema. Quello che ha ancora in ballo il Gran Slam. E che a New York ci sarà eccome. Perché lui sarà anche no-vax e un mezzo santone bislacco ma è altrettanto professionista, ossessionato, anche più fortunato nella tenuta atletica.

Lui porta sulla coscienza – godendo come un riccio serbo – l’aver negato la vittoria dell’immortalità di Federer a Wimbledon nel 2019, e quella di Nadal nella semifinale del Raland Garros di quest’anno.

Federer ha chiuso il suo ultimo (chissà, anche fosse non si può comunque dire) Wimbledon col primo 6/0 subito sull’erba in carriera. Da tale Hubert Hurkacz. Un imbarazzante atto di commiato, doppiato mediaticamente dall’annuncio dell’operazione sui social. Un messaggio rarefatto, a cui è seguita l’ovvia venerazione impotente dei fan. Federer ha sancito l’impraticabilità del suo ritiro anche commercialmente: il suo contratto con Uniqlo ha scadenza 2029, i giapponesi hanno intenzione di farne magliette fino ai suoi 48 anni.

Come ha scritto il Telegraph, la sola idea di lasciare è per lui troppo gravosa: “il tennis è un’espressione della sua anima. Il suo addio scatenerà un’angoscia di massa tra i suoi discepoli, ma ancor prima all’uomo stesso. Ma Federer merita di lasciare con la sua dignità intatta“. Pare di rivedere il giro dell’Olimpico di Totti: non sarebbe mai uscito da quello stadio, avesse potuto. Lo condussero fuori le lacrime collettive.

Per Nadal – che ha pur sempre 5 anni in meno – vale lo stesso discorso, con l’aggravante d’una mentalità (anche percepita) che pare non ammettere resa. La notizia del giorno, l’innesco ulteriore, è la sua rinuncia al finale di stagione. Se per Federer l’indefinibilità lasciata al tempo e ai consulti medici è sembrata a tutti un sipario in dissolvenza, lo spagnolo ha ancora entrambi i piedi ben saldi in campo. “Ci vediamo nel 2022”, ha sentenziato netto. Regalando una data, un appiglio tattile alla speranza che davvero il tennis di Federer-e-Nadal non sia finito così, qui e ora.

E invece, tocca dircelo almeno tra noi: è fatta. Il tennis – quel tennis – resta nelle disponibilità di Djokovic. Lo deprederà fino a sfamarsi di tutti i record possibili e poi chiuderà il triangolo. Sarà sua l’ultima parola, visto che gli altri due non riescono a pronunciarla.

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